Riusciranno le balene grigie a fermare le trivelle?
Milano (AsiaNews) - Le balene grigie del Pacifico Occidentale non lo sanno, ma sono parte di un grande gioco economico diplomatico politico e perfino militare. Probabilmente sono anche pedine in uno dei maggiori casi di evasione fiscale, frode e bancarotta della storia, almeno recente, quello della Yukos. L'Unione internazionale per la conservazione del mondo IUCN (IUCN-World Conservation Union) il 17 febbraio scorso aveva reso noto un documento in base al quale i circa 100 esemplari rimasti di balena grigia sono a probabile rischio di estinzione perché si riproducono al largo dell'isola di Sakhalin, nell'estremo oriente russo, in una zona dove potrebbero presto iniziare i lavori per la trivellazione di pozzi petroliferi. Il rapporto d'impatto ambientale era stato commissionato dalla Shell che è a capo di uno dei grandi progetti di sviluppo petrolifero nell'area, denominato Sakhalin 2. Il valore del progetto, di cui la Shell detiene il 55 % , è di circa 12 miliardi di dollari e lo studio d'impatto ambientale era necessario in quanto la Shell conta di ottenere finanziamenti per 5 miliardi di dollari dalla BERS (Banca europea di ricostruzione e sviluppo banca intergovernativa europea per i Paesi ex comunisti) e dal DTI, il ministero inglese dell'Industria.
Secondo il rapporto della IUCN, il rumore delle trivelle potrebbe disturbare le balene e provocarne la collisione con possibili conseguenze mortali. Non è chiaro per ora se la BERS ed il DTI forniranno il proprio sostegno, ma senza di esso Sakhalin 2, il maggiore investimento estero mai programmato in Russia, molto difficilmente potrebbe decollare.
La Shell, che nell'iniziativa ha come soci le società giapponesi Mitsui (25 %) e Mitsubishi (20 %), ha dichiarato che il progetto verrà comunque portato avanti. Il consorzio guidato dalla Shell venerdì scorso ha così annunciato di aver siglato un preliminare di fornitura per i prossimi 24 anni di 1,1 milioni di tonnellate all'anno di gas liquefatto alla Tokio Gas Company, la maggiore società giapponese di distribuzione di gas. Tale volume di vendite rappresenta circa il 70 % della capacità produttiva prevista per il progetto Sakhalin 2. Per gli esperti del settore è un'evidente mossa dei responsabili del progetto per sollecitare l'intervento delle banche commerciali in sostituzione sia del sostegno del ministero dell'Industria britannico che della BERS. Se ne dedurrebbe pertanto che secondo i responsabili di Sakhalin 2 il rapporto della IUCN avrebbe seriamente compromesso il sostegno al progetto stesso del governo inglese e di conseguenza quello intergovernativo europeo.
Gli esperti sospettano che il temuto rischio di estinzione delle balene sia solo un pretesto per intralciare lo sviluppo del progetto Sakhalin 2 e quello di tutta l'area, una delle poche da cui i Paesi asiatici potrebbero a breve ottenere quelle forniture di idrocarburi, gas e petrolio, di cui hanno urgente necessità per il proprio sviluppo. I progetti nelle zone di mare attorno all'isola di Sakhalin sono tre, il primo dei quali è previsto entri in produzione a brevissimo. La società statale indiana ONGC, Oil and Natural Gas Corp, è stata la prima, tempo fa, a confermare la propria partecipazione nel progetto Sakhalin1 e ne detiene il 20 %. Stimolati dall'esempio della ONGC, anche altri investitori internazionali come Shell, BP e Conoco Philips si sono poi associati all'iniziativa e la prima produzione di gas naturale è previsto venga ottenuta nel corso del terzo trimestre del 2005, mentre la produzione di greggio dovrebbe incominciare nel gennaio del 2006.
Il successo di Sakhalin1 ha indotto a rafforzare le iniziative di collaborazione con la Russia nel settore degli idrocarburi. Lo scorso 19 gennaio la ONGC, con l'appoggio del governo indiano ed in particolare del ministro degli Esteri Natwar Singh, si è quindi dichiarata disponibile non solo a finanziare lo sviluppo di Sakhalin 3 ma anche della regione del Pechora (nella zona artica siberiana appena oltre gli Urali) ed in modo specifico di alcuni cespiti ex Yukos. In merito a questi ultimi, si tratta di quanto rimane dopo l'accordo concluso lo scorso mese di gennaio dalla Società petrolifera nazionale della Cina (China National Petroleum Corporation - CNPC) che ha rilevato la maggior parte della produzione della Yuganskneftegaz, la quasi totalità della produzione della Yukos. In seguito al fallimento della Yukos, dichiarato da un tribunale russo a metà di dicembre dello scorso anno, tra i grandi Paesi asiatici consumatori di petrolio è in atto una complessa disputa ormai non più solo economica ma ormai anche diplomatica e strategica.18/02/2022 11:24