Re Abdullah perdona la “ragazza di Qatif” , ma resta aperta la questione giustizia
Il ministro saudita della giustizia afferma che l’atto di clemenza non indica sfiducia verso i giudici, ma in realtà evidenzia la necessità della riforma del sistema giudiziario, alla quale il monarca saudita sembra stia pensando.
Riyadh (AsiaNews/Agenzie) – Il perdono accordato da re Abdullah alla “ragazza di Qatif”, la giovane violentata, ma condannata da un tribunale perché era in auto con un non-parente, chiude l’aspetto giudiziario di una vicenda che ha avuto un costo altissimo in termini di immagine del Paese, ma non i suoi risvolti politici.
Il ministro saudita della giustizia, Abdullah bin Muhammed al-Sheik, ha infatti sostenuto con il quotidiano al-Jazirah che il perdono non significa che il re contesta i giudici del Paese, ma che ha agito “nell’interesse del popolo”. “Il re – ha dichiarato – si preoccupa sempre di alleviare le sofferenze dei cittadini, se è sicuro che le sentenze possono avere conseguenze psicologiche sulle persone condannate, sebbene sia convinto e sicuro che la sentenza era giusta”.
“La ragazza di Qatif”, così chiamata dal luogo di nascita, è una diciannovenne saudita che l’anno scorso è stata rapita da un gruppo di sei uomini e violentata. Un tribunale l’aveva condannata a sei mesi di prigione e 90 frustate, divenute 200 in appello, perché era in automobile con un uomo che non è suo parente, cosa vietata dalla legge. I sei violentatori hanno avuto condanne tra due e nove anni di prigione. Di fronte alla reazione internazionale suscitata dalla sentenza, il ministro della giustizia aveva affermato che la giovane è un adultera ed ha “provocato l’attacco” dei suoi violentatori perché era “in una condizione indecente”, secondo le testimonianze dei rapitori.
Se, dunque, il perdono reale chiude l’aspetto giudiziario, resta aperta la questione delle leggi e dell’amministrazione della giustizia nel regno. L’Arab Herald riporta oggi on line decine di mail di lettori che pongono proprio tale problema. Re Abdullah, considerato un, seppur cautissimo riformatore, ha in effetti l’idea di modificare l’attuale ordinamento giudiziario. Alle voci riformatrici dà eco Arab News, che riporta i commenti di un attivista per i diritti umani, Fawziya Al-Oyoni, e di un avvocato, Omar Al-Saab. L’attivista sostiene che il perdono non chiude il caso, che andrebbe portato ad un altro tribunale. “Perdonare – ha spiegato – significa che qualcuno ha fatto qualcosa di sbagliato”. Quanto all’avvocato, invece, “il perdono reale vuole mandare un messaggio forte ai giudici, avvertendoli che sono sotto sorveglianza”.
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