Rasht, cristiani convertiti pregano insieme: condannati a 5 anni di carcere
Il trio è stato riconosciuto colpevole in base all’articolo 500 del codice penale. Fra le accuse “propaganda ed educazione” legata a “credenze devianti e contrarie alla sharia”, oltre a “legami con leader stranieri”. Il giudice che ha emesso il verdetto soggetto a pressioni. Attivista: sentenza “arbitraria”.
Teheran (AsiaNews) - Tre cristiani iraniani, convertiti dall’islam, sono stati condannati a cinque anni di prigione per “propaganda ed educazione” legata a “credenze devianti e contrarie alla sharia”, oltre a “legami con leader stranieri”. Il verdetto a carico di Ahmad Sarparast, Morteza Mashoodkari e Ayoob Poor-Rezazadeh è stato emesso nei giorni scorsi dalla seconda sezione del Tribunale della rivoluzione di Rasht, capoluogo della regione di Gilan e la più grande città iraniana vicina al mar Caspio. Secondo quanto spiega il sito Article18, il trio è stato incriminato in base all’articolo 500 del Codice penale e dovrà inoltre versare una multa di 18 milioni di tomans (circa 6.900 euro).
Iman Soleimani, avvocato dei cristiani arrestati nel settembre 2021, riferisce che il verdetto è fondato solo sulla base di fonti di intelligence provenienti dai Guardiani della rivoluzione (Pasdaran). Inoltre, non vi sarebbe alcuna giustificazione, né fondamento giuridico della condanna e l’unico “crimine” sarebbe quello di essersi riuniti e pregare secondo i riti cristiani. Un’assemblea di fedeli, osserva il legale, non può essere considerata una “azione contro lo Stato”.
Inoltre, la prima domanda formulata dal giudice durante il processo è relativa alla fede professata dal trio. Un approccio che ha trasformato l’udienza in una sorta di “inquisizione” in cui il presidente della Corte ha svolto un ruolo di pubblica accusa più che di organismo terzo chiamato a decidere. Tanto che, nella sentenza, il magistrato ha fatto esplicito riferimento alla fede religiosa professata quale motivazione che ha portato alla condanna, contro la quale il trio ha deciso di ricorrere in appello. Una ricerca di giustizia che li ha portati a respingere al mittente “l’offerta” del giudice che aveva promesso la riduzione di un quarto della pena e un “migliore” trattamento in prigione, in caso di mancato ricorso.
Il processo è iniziato il 25 gennaio scorso. Il trio è il secondo gruppo di cristiani condannati in base all’articolo 500 dopo le modifiche alla legge approvate lo scorso anno, che hanno impresso restrizioni alla libera pratica del culto (non islamico). L’avvocato difensore sottolinea inoltre che il giudice stesso sarebbe vittima di pressioni “interne” che lo hanno spinto a comminare la condanna e la pena massima ai cristiani. In un messaggio social, Iman Soleimani ha scritto che “nei casi politici e di ‘sicurezza’, i giudici sono sottoposti a molte pressioni” da parte di chi effettua gli arresti (Pasdaran), tanto che “alcuni giudici indipendenti” lo hanno ammesso in modo aperto “in presenza di avvocati e imputati”. Anche i magistrati, aggiunge, “possono affrontare capi di accusa se non si conformano” ai dettami delle autorità o dei reparti della sicurezza e intelligence.
Mansour Borji, direttore di Article18, afferma che “il verdetto in questo caso è tipico delle sentenze arbitrarie” ed è una “violazione della Costituzione iraniana” oltre che contraria agli slogan governativi secondo cui “nessuno è imprigionato in base alle proprie convinzioni”. Inoltre, aggiunge l’esperto, la condanna “si basa solo su informazioni estrapolate da interrogatori” ed è per questo “del tutto priva di qualsiasi base legale” oltre a sconfessare i proclami secondo cui in Iran “la magistratura è indipendente”.