Rajapaksa al nunzio apostolico: i sacerdoti abbandonino la zona di conflitto
di Melani Manel Perera
I religiosi vivono con le centinaia di sfollati nei quattro distretti ancora teatro del conflitto. Il governo afferma che la vittoria sulle Tigri tamil è ormai prossima e celebra il 61° di indipendenza annunciando la pace imminente. Usa, Ue, Giappone e Norvegia chiedono ai ribelli tamil di arrendersi. L’ospedale di Pudukkudiyiruppu subisce il quinto attacco in tre giorni.
Colombo (AsiaNews) – Il governo dello Sri Lanka vuole che i sacerdoti cattolici presenti nelle aree interessate dal conflitto raggiungano le zone di sicurezza sotto il controllo dell’esercito, portando con se la popolazione civile.
È lo stesso presidente Mahinda Rajapaksa ha dirlo a mons. Mario Zenari, nunzio apostolico nel Paese, in occasione dell’incontro avvenuto il 2 febbraio al Temple Trees. Il presidente ha chiesto al rappresentante pontificio di informare tutti i religiosi presenti nell’area teatro degli scontri tra ribelli tamil e forze governative. Sacerdoti e suore cattoliche vivono insieme agli sfollati nei distretti di Mannar, Vavuniya, Mullaitivu e Kilinochchi. Rajapaksa afferma che, se daranno ascolto alla richiesta di spostarsi nelle aree sotto il controllo dei militari, essi contribuiranno allo sforzo del governo di aiutare la popolazione del nord e liberarla dall’oppressione del terrorismo.
Nell’area attorno a Mullaittivu proseguono intanto le operazioni militari e Colombo afferma che entro pochi giorni le forze ribelli saranno sgominate. Il governo continua a confutare il numero di rifugiati presentato dalle organizzazioni umanitarie (Colombo parla di 113.800 persone contro le 230-250mila dichiarate da Onu e Croce rossa) e dall’ospedale di Pudukkudiyiruppu nel Vanni è giunta la notizia del quinto bombardamento in tre giorni: i morti causati dall’ultimo attacco sarebbero 12. La Croce rossa afferma di aver ricevuto dal governo l’indicazione di evacuare l’ospedale e abbandonare la struttura.
Intanto proprio oggi il Paese celebra il 61° anniversario dell’indipendenza esaltando le vittorie sulle Tigri, proclamando l’imminente avvento della pace e annunciando una nuova epoca di libertà e armonia tra le etnie.
Nel suo discorso alla nazione il presidente ha invitato gli srilankesi emigrati all’estero a tornare in patria, ma l’entusiasmo delle istituzioni, compresa la maggioranza dei monaci buddisti, non trova d’accordo diversi ambiti della società civile e suscita violente critiche da parte degli attivisti per i diritti umani e della popolazione del nord del Paese.
Sarath Fernando, responsabile del Movement of National Land & Agriculture Research (Monlar) dichiara ad AsiaNews: “Il desiderio di pace viene usato per vincere la guerra contro il desiderio delle popolazioni tamil e musulmane che aspirano a veder riconosciuta la loro dignità, cultura e indipendenza come comunità etniche che vivono nel Paese da lungo tempo”.
L’arcivescovo di Colombo, mons. Oswald Gomis, afferma che “è venuto il tempo per ripristinare la legge nel nostro Paese. Le popolazioni del nord e del sud dovrebbero sentirsi libere e poter esercitare la libertà che è un loro diritto naturale”.
Padre Steevan Singarayar, dell’ordine missionario Figli del Cuore Immacolato di Maria, dice che “siamo costretti a festeggiare. Con l’uccisione della nostra stessa gente stiamo cercando di trovare gloria nella sconfitta di nostri fratelli e sorelle. È evidente che questo è un giorno di celebrazioni solo e soltanto per i singalesi. I tamil non hanno speranza per il loro futuro. La comunità internazionale e il governo indiano devono aiutarli a cercare una soluzione e celebrare la loro libertà con dignità e orgoglio”.
Intanto la comunità internazionale chiede alle Tigri tamil di arrendersi e invitano entrambe le parti in conflitto ad un immediato cessate il fuoco temporaneo. Il 3 febbraio, Stati Uniti, Europa, Giappone e Norvegia hanno reso pubblico un documento concordato dal segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, e dal ministro degli esteri della Gran Bretagna, David Miliband.
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