Raddoppiati in un anno il numero degli incidenti ambientali in Cina
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Circa 2mila rurali infuriati hanno bloccato il ponte dell’autostrada che passa vicino a Nangang (contea di Shucheng, Anhui), il 24 luglio, per protestare contro la nuova discarica che il municipio vuole realizzare presso il corso superiore del fiume che fornisce l’acqua potabile. Intervengono centinaia di poliziotti e nascono scontri violenti. Nella Cina del boom economico lo sviluppo è attuato senza rispetto dell’ambiente e della salute della popolazione, che ormai lotta in modo aperto e violento per difendere diritti elementari quali l’acqua potabile e l’aria.
Il governo di Nangang ha assicurato oggi di avere abbandonato il controverso progetto, che minacciava l’acqua potabile degli oltre 50mila abitanti lungo il basso corso del fiume. Dopo l’annuncio le proteste sono cessate.
Intanto le fotografie delle proteste e degli scontri hanno fatto il giro del web, con i dimostranti con cartelli, amari ma anche ironici, con scritto “Combattiamo fino alla morte piuttosto che lasciarci avvelenare a morte”, “Siamo a guardia del nostro fiume madre” e “Per favore, non danneggiate gli abitanti di Nangang”. Altre foto mostrano scontri con la polizia armata di manganelli e spray al peperoncino. Ci sono donne e anziani inginocchiati che appaiono pregare il governo di abbandonare il progetto, almeno 2 di loro sono stati poi colpiti dalla polizia. Testimoni oculari hanno dichiarato all’Information Centre for Human Rights and Democracy che la polizia ha pestato a sangue anche ragazzi minorenni.
Pechino vuole adottare precise misure antinquinamento ma ha paura di deprimere l’industria: ad esempio, la China Metallurgical Industry Planning and Research Institute, organo di consultazione pubblica, ha ammonito che le nuove misure di tutela ambientale possono fare aumentare il costo dei manufatti metallurgici di almeno il 10%. Dopo avere fondato lo sviluppo sullo sfruttamento indiscriminato di ambiente e migranti, ora Pechino ha difficoltà a conciliare le irrimandabili esigenze ambientali con la prosecuzione di una rapida crescita economica.
Ma esperti ammoniscono che nel Paese i danni ambientali sono in continua crescita, come quantità e gravità. Nel 1° semestre 2010 gli incidenti ambientali sono aumentati del 98,1% rispetto al 2009 e ci sono stati veri disastri.
Solo a luglio la Zijin Mining Group Co., primaria ditta mineraria per oro e rame, ha versato nel fiume Ting oltre 9.100 metri cubi di liquami nocivi, causando la morte di oltre 2.300 tonnellate di pesce e la distruzione dell’industria ittica della zona. A Dalian, importante porto petrolifero, il 16 luglio l’esplosione di 2 condotti e di un serbatoio di petrolio ha causato la dispersione in mare di 1.500 tonnellate di greggio. Il porto è rimasto chiuso per molti giorni.
Ma Jun, fondatore dell’Institute of Public Environmental Affairs, dice all’agenzia Bloomberg che “se il governo non affronta il problema ambientale ora che l’economia cresce rapida, potrebbe diventare un fattore di destabilizzazione sociale”. “La popolazione è sempre più attenta e protesta contro l’inquinamento da metalli pesanti causato da raffinerie e fonderie”.
Anche il ministro per l’Ambiente riconosce che “c’è conflitto tra un rapido sviluppo economico e la capacità dell’ambiente di assorbire” gli effetti. Una sua indagine ha accertato che nel 2009 sono finiti nella acque 58,9 miliardi di tonnellate di rifiuti liquidi, contenenti petrolio, azoto e manganese, circa il 3% in più del 2008.
C’è polemica anche per l’assoluta mancanza di piani di emergenza in caso di disastri ambientali. A Dalian circa 8mila dipendenti pubblici e 37mila volontari, soprattutto pescatori locali, hanno raccolto il greggio senza alcuna protezione, senza mascherine contro i vapori nocivi e senza guanti con il benzene che penetra la pelle ed è nocivo per il sistema digestivo. Hanno raccolto il petrolio con pezze di stoffa, recuperate con bastoni e strizzate a mani nude dentro secchi.
Zhong Yu, coordinatore di Greenpace China, loda questo esercito di volontari che per bonificare il mare dal greggio “ha lavorato senza sosta per oltre una settimana, senza ricevere scuse o ricompense dalle compagnie petrolifere” responsabili. Ma rileva che il governo non ha fornito loro nemmeno mascherine protettive. “Ciò è patetico”.