26/10/2006, 00.00
INDIA - TIBET - CINA
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Raccontano la loro storia, i tibetani scampati alle fucilate della polizia cinese

Ora rifugiati in India, raccontano il viaggio a piedi di notte nella neve, per evitare la polizia e fuggire in Nepal. Oltre 120 mila tibetani sono rifugiati all'estero, per non rinunciare alla loro cultura e alla fede e per scampare dalla povertà in cui sono tenuti.

Dharamsala (AsiaNews/Agenzie) – Raccontano la loro storia i 41 profughi tibetani scampati alla polizia cinese di frontiera, che il 30 settembre ha sparato loro contro al passo Nangpa La, 5.800 metri di altezza, vicino al monte Everest, al confine col Nepal. La polizia ha ucciso Kelsang Namtso, suora tibetana di 17 anni. C'è una seconda vittima ufficiale, un uomo di 23 anni deceduto in ospedale per le ferite da arma da fuoco, secondo attivisti per i diritti umani. L'incidente ha colpito l'opinione pubblica mondiale anche perché è stato filmato da turisti occidentali, ma attivisti denunciano che sono frequenti gli spari della polizia contro chi cerca di lasciare il Paese.

Ogni anno tra 2.500 e 4 mila tibetani cercano di fuggire in India passando per il Nepal, pagando contrabbandieri per un passaggio perché è impossibile ottenere un permesso regolare. In India possono mantenere la loro cultura e, soprattutto, possono vedere il Dalai Lama, loro leader spirituale, che risiede a Dharamsala insieme al governo tibetano in esilio.

Tenzin Wangmo, suora tibetana di 24 anni, spiega che voleva solo "ottenere la benedizione da Sua Santità, il Dalai Lama" e poi tornare in Cina. Ma ora in Cina sarebbe arrestata.

Namtso, la suora uccisa, voleva pure vedere il Dalai Lama, come racconta la sua amica Dolma Palkyi, suora di 16 anni, che viene dallo stesso villaggio di circa 40 case. Le due amiche hanno programmato il viaggio da quattro anni: ci vogliono 5 mila yuan a testa solo per pagare i contrabbandieri che le guidano, una fortuna nel povero Tibet. Sono partite dalla capitale Llhasa: due giorni di viaggio in camion, poi si sono nascoste per attendere la notte. Per 17 giorni il gruppo di 77 persone ha dormito di giorno e viaggiato di notte, affrontando forti venti e crepacci innevati. Thupten Tsering, monaco di 36 anni, fuggito dal Tibet per non dover rinnegare il Dalai Lama e giurare fedeltà alla Cina, racconta che negli ultimi tre giorni il cibo era finito.

La mattina del 30 settembre hanno raggiunto il passo Nangpa La, presso il confine. Erano in marcia da ore quando hanno sentito sparare. Raccontano che non hanno visto la polizia, ma solo sentito i colpi di fucile e i proiettili fischiare intorno. Hanno gettato via ogni cosa – lo zerbino per dormire e qualche abito di ricambio - e sono fuggiti verso la cima della montagna. Namtso è stata colpita ed è caduta sulla neve, piangendo e chiedendo aiuto. Qualcuno ha cercato di aiutarla, ma dopo la marcia e il freddo era troppo pesante per essere sollevata in mezzo alle pallottole. Hanno corso fino a sera e passato la notte senza coperte né cibo. Poi hanno potuto comprare cibo da nomadi incontrati e hanno camminato per giorni prima di prendere un autobus e raggiungere il centro tibetano per i profughi a Kathmandu. Lì sono stati accolti e sfamati e hanno potuto attendere di essere riconosciuti come rifugiati dall'Onu e dall'ambasciata indiana e poter andare in India.

Secondo il governo tibetano in esilio, ci sono oltre 120 mila tibetani rifugiati in India, Nepal e Bhutan.

Almeno la metà di chi fa questo pericoloso viaggio sono bambini, i cui genitori vogliono che mantengano l'identità tibetana e che, spesso, in Cina nemmeno possono pagarsi la scuola. Nel gruppo di Dolma c'era una bambina di 7 anni, che ha viaggiato senza i genitori. Molti preferiscono viaggiare in inverno, perché è più facile evitare la polizia cinese di frontiera. Il gruppo International Campaign for Tibet stima che l'80% dei profughi arriva tra ottobre e aprile. Nessuno sa dire quanti ne muoiono per freddo, fame e cadute accidentali, oppure perché sono presi dalla polizia e scompaiono. La vicenda di Namtso è stata conosciuta perché alcuni turisti occidentali hanno visto la polizia sparare ai profughi "come a cani" e li hanno filmati. E' diventato un caso internazionale dopo che l'agenzia statale Xinhua ha detto che i soldati hanno sparato solo dopo essere stati assaliti dai profughi. Stati Uniti ed Unione Europea hanno "condannato" l'azione della polizia. Il Canada, tramite il ministro degli esteri Peter MacKay, ha "condannato con forza quest'atto di violenza contro civili disarmati, famigerata violazione dei diritti umani".

Tenzin Norgay, portavoce del Centro tibetano per i diritti umani e la democrazia a Dharamsala, commenta che da molto tempo denunciano episodi come questo. Ma non crede che cambierà qualcosa e commenta che "la memoria pubblica è molto corta". (PB)

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