Raccolta firme per liberare detenuti politici in Myanmar
Yangon (AsiaNews) – Raccogliere 888.888 firme per chiedere la liberazione dei detenuti politici in Myanmar e ottenere la revoca degli arresti domiciliari di Aung San Suu Kyi entro il 24 maggio, giorno in cui scade il provvedimento restrittivo della giunta militare. È la campagna lanciata da due associazioni thailandesi, Assistance Association for Political Prisoners—Burma (Aapp) e Forum for Democracy in Burma, alla quale si può aderire anche attraverso il social network Facebook (vedi Free Burma's Political Prisoners Now!).
A darne notizia è il quotidiano dissidente birmano The Irrawaddy. La campagna prenderà il via domani, 13 marzo, giornata per i diritti umani in Myanmar. Essa intende richiamare l’attenzione sui “soprusi ai danni dei dissidenti” ed esercitare “pressioni sulla dittatura militare al potere”. Il numero di firme che si intende raccogliere richiama alla mente l’8 agosto 1988 (8.8.88), giorno in cui la giunta ha massacrato circa 3000 persone che dimostravano in modo pacifico per la democrazia.
Ancora oggi vi sono oltre 2100 prigionieri politici detenuti nelle carceri birmane. Nell’opuscolo informativo sulla campagna si legge una frase del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi: “I prigionieri politici non hanno commesso altri crimini che esprimere le loro idee politiche, attraverso le parole o l’azione”.
Fra i detenuti vi è anche Mya Aye, che ha festeggiato i 45 anni martedì scorso nel carcere di Loikaw, nello stato Karenni. Egli è condannato a una pena di 65 anni per la sua attività politica. Mya Aye, tra i giovani protagonisti di Generazione 88 – il movimento studentesco che nel 1988 ha dato vita alle dimostrazioni di piazza – è stato arrestato per la prima volta nel 1989 e condannato a otto anni di carcere. Rilasciato nel 1996, egli ha continuato la sua battaglia politica. Per questo è stato arrestato il 21 agosto del 2007 – poco prima della rivolta dei monaci birmani – insieme ad altri 12 attivisti.
Wai Hnin Pwint Thon, figlia di Mya Aye, racconta dell’arresto del padre quando aveva “solo cinque mesi” e del primo incontro “all’età di quattro anni. Ma era dietro le sbarre, quindi non ho avuto nemmeno la possibilità di abbracciarlo”. “I carcerieri – racconta la ragazza – lo torturavano ogni giorno: corrente, molestie sessuali e abusi. Quando sono cresciuta ho capito perché era in prigione. Ammiro il sacrificio per il Paese e il suo popolo. Penso sia una persona coraggiosa”.