Quinto giorno di proteste a Daraa, la polizia siriana uccide ancora
Le fonti ufficiali parlando di una “gang armata” che ha attaccato un’ambulanza, i manifestanti di un attacco improvviso e immotivato delle forze di sicurezza, che hanno aperto il fuoco sulla gente riunita davanti a una moschea. Il problema della mancanza di leadership dell’opposizione.
Beirut (AsiaNews) – Quinto giorno di scontri a Daraa, cento chilometri a sud di Damasco, in Siria. Quattro morti, compreso un agente, dicono le fonti ufficiali, almeno cinque i manifestanti uccisi, per i militanti dei diritti dell’uomo. Secondo questi ultimi, la giornata di ieri era stata abbastanza calma in città, dopo gli scontri dei giorni precedenti, che avevano causato quattro o cinque vittime. In serata, alcune centinaia di manifestanti si erano riuniti davanti alla moschea di Omari, centro delle proteste, e si preparavano a passarvi la notte, montando delle tende, quando si sono spente le luci, si sono bloccati i telefoni, mentre agenti della sicurezza cominciavano a lanciare gas lacrimogeni e aprire il fuoco. Tra le vittime anche un medico, Ali Ghassab al-Mahamid, che si recava in moschea per offrire assistenza.
La versione ufficiale, diffusa dalla SANA, parla di una “gang armata che ha attaccato un’ambulanza mentre passava vicino alla moschea Omari”. “Nell’attacco, un medico, un paramedico e il conducente sono stati martirizzati, mentre le forze di sicurezza, presenti nelle vicinanze del luogo, affrontavano gli attaccanti e ne colpivano e arrestavano alcuni”. “Anche un membro delle forze di sicurezza ha subito il martirio durante l’attacco”. “Le forze di sicurezza continueranno a perseguire le bande armate che terrorizzano i civili” e che “hanno immagazzinato armi e munizioni all’interno della moschea”.
E’ dal 15 marzo che la Siria, compresa Damasco, registra piccole manifestazioni di dissenso. Gli onnipresenti servizi di sicurezza sono sempre intervenuti duramente, disperdendo coloro che protestavano e compiendo arresti. Nel sud e in particolare a Deraa, la protesta ha avuto presenze consistenti e la reazione è stata più violenta, provocando morti e feriti.
Di fronte a quanto sta accadendo, da un lato stupisce la persistenza della protesta in un Paese che da 48 anni impone leggi e tribunali speciali e ha un enorme apparato di sicurezza che controlla tutto e tutti, dall’altro ci si chiede quali siano le possibilità che i manifestanti hanno di ottenere aperture da un regime ultradecennale, tenendo presente che non si vedono, per ora, richieste al presidente Assad di lasciare.
In proposito se è comune la notazione che il dissenso manca di una leadership, qualcuno nota che anche motivazioni e obiettivi sono diversi da luogo a luogo. Ma, secondo quanto Yaser Tabbara, un attivista siro-americano per i diritti umani, dice a Al Jazeera se “nessuno è in grado di dire con attendibilità cosa succederà in Siria nei prossimi giorno o settimane”, se la protesta continuerà e si estenderà o se “il regime darà a Daraa un esempio, mostrando alla popolazione il prezzo da pagare per il dissenso”, è comunque “nata una cultura del dissenso” e “la barriera della paura è stata rotta irreversibilmente”. (PD)
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