Profughi di Nargis sfruttati per la ricostruzione di intere zone della Birmania
Yangon (AsiaNews) – La giunta militare birmana sfrutta il lavoro di migliaia di rifugiati dei campi profughi, per la ricostruzione delle zone del delta dell’Irrawaddy colpite dal passaggio del ciclone Nargis. La denuncia arriva dal quotidiano di opposizione The Irrawaddy News, che cita fonti anonime del luogo: secondo il giornale, gli abitanti di Laputta, Pyapon, Bogalay e Dedaye sono costretti a lavorare gratis – bambini compresi – svolgendo le mansioni più umili e onerose. Il Consiglio per la pace e lo sviluppo birmano, fiancheggiato dalle truppe militari, obbliga i profughi a fare i portantini, tagliare bambù e alberi, spazzare strade e villaggi, il tutto senza nemmeno un compenso economico minimo. Altri ancora vengono utilizzati come operai o manovali nei cantieri, togliendo loro la possibilità di lavorare per ricostruire, prima di tutto, la propria abitazione distrutta dal passaggio del ciclone o far tornare alla normalità i villaggi d’origine.
Quanti non intendono sottostare al sopruso sono costretti a pagare una tassa pari a 1.500 Kyat (circa un dollaro e mezzo), una cifra enorme per una popolazione che lotta ancora oggi per la sopravvivenza e il cui reddito medio è al di sotto della soglia di povertà, oltre a ricevere l’infamante accusa di comportarsi da “fannulloni e opportunisti”, che si limitano a guardare gli altri lavorare in attesa di ricevere gratis un domicilio.
Testimoni affermano inoltre che i rifugiati vengono picchiati e costretti ad abbandonare le baracche all’interno delle quali hanno trovato rifugio, mentre le autorità accampano scuse pretestuose pur di cacciar via la gente. La supervisione dell’opera di ricostruzione delle zone colpite dal ciclone, tra l’altro, è stata affidata alla 66esima divisione di fanteria leggera guidata dal comandante Maung Maung Aye, celebre per aver costretto con la forza i civili a costruire strade e vie di comunicazione quando era a capo del 70esimo Battaglione di Fanteria nel 2000.
Il regime birmano è stato più volte condannato dalla comunità internazionale per sfruttamento del lavoro durante la costruzione di basi militari, strade e ponti e per quanti si rifiutavano di collaborare si aprivano le porte del carcere, con torture ed esecuzioni sommarie.