Pressioni per annettere i villaggi cristiani del nord al Kurdistan
Secondo notizie non confermate dalle autorità politiche, nella Piana di Niniveh funzionari curdi chiedono ai profughi cristiani di firmare per l’annessione al Kurdistan in cambio degli aiuti mensili. L’iniziativa si collocherebbe nel progetto mai abbandonato dal governo di Erbil di creare un “safe haven” cristiano sotto la sua amministrazione. Le preoccupazioni della comunità locale.
Mosul (AsiaNews) – Persone che si dicono inviate dal governo curdo girano nei villaggi cristiani della Piana di Niniveh chiedendo agli abitanti di firmare schede con cui approvano l’annessione dei distretti settentrionali al territorio della regione semiautonoma del Kurdistan. L’obiettivo finale sembra quello - già noto - di creare una zona autonoma e sicura per la comunità cristiana sotto l’amministrazione curda. A parlarne è il sito Ankawa.com, il cui corrispondente ha cercato di raccogliere maggiori informazioni su quelli che finora rimangono solo racconti di alcuni abitanti locali non confermati né da personalità ecclesiastiche né da quelle politiche. L’iniziativa è in perfetta linea con il progetto di creare un “safe haven” per i cristiani iracheni.
Intervistato da AsiaNews sulla notizia, mons. George Casmoussa, vescovo siro-cattolico di Mosul, capoluogo della provincia di Niniveh e città tra le più pericolose del Paese, preferisce non commentare “questioni di carattere politico” e ribadisce che “i cristiani d’Iraq chiedono solo di essere liberi di vivere nella loro terra, di rimanere nel loro Paese e godere dei diritti che la Costituzione nazionale garantisce a tutti i cittadini iracheni”.
La “curdizzazione “della Piana di Niniveh
Secondo il reportage di Ankawa.com, i funzionari del dipartimento curdo per gli Affari dei cristiani - costola del ministero delle Finanze retto dal controverso Sarkis Aghajan – prima di distribuire gli aiuti umanitari mensili destinati ai profughi interni, raccolgono firme tra i cittadini per l’annessione del nord della Piana di Niniveh al Kurdistan. I funzionari assicurano che la procedura è legale e in sintonia con i principi democratici. Rientrerebbe - sostengono - nel famoso art. 140 della Costituzione, che prevede un referendum per stabilire legalmente e definitivamente il “ritorno” di Kirkuk e altre province storicamente curde al governo di Erbil.
Alcuni degli emigrati cristiani, però, raccontano di “pressioni verbali” da parte dei curdi. Il signor Jevara, arrivato da Baghdad, dice che anche se la firma non è obbligatoria a chi non aderisce vengono negati gli aiuti. E c’è chi denuncia che l’ingente sostegno economico profuso dal ministro Aghajan ai villaggi cristiani fosse solo una trappola per attuare la “curdizzazione” della Piana di Niniveh.
Da tempo gruppi di cristiani politicizzati negli Stati Uniti e in Europa - dalla diaspora negli Usa, molto ascoltata dal Patriarcato di Baghdad, agli evangelici e ad Aghajan - stanno cercando di usare la tragica persecuzione religiosa in Iraq per accelerare la creazione dell’“enclave assira” nella Piana. Il progetto, invece, non trova grande appoggio tra i cattolici in patria e all’estero. Molti ne parlano come di un piano “diabolico e pericoloso”, sul cui dibattito “si rischia una divisione” fra i cristiani. Sacerdoti e laici caldei in Europa chiedono alla loro Chiesa di “prendere una posizione chiara” e alla Santa Sede di “far sentire la sua voce”.
Il capo di uno dei comitati locali per gli Affari dei cristiani, Jamil Zeto, interpellato da Ankawa.com, risponde con un “no comment”. In un recente incontro ad Alkosh il Partito democratico curdo ha negato l’esistenza di una campagna di raccolta firme obbligatoria o di pressioni, ma ha ribadito la volontà di istituire una zona autonoma all’interno del Kurdistan, dove tutti possano vivere in pace.
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