12/08/2009, 00.00
CINA
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Presentate le accuse contro i quattro dipendenti della Rio Tinto. Meno gravi del previsto

Arrestati oggi per spionaggio industriale, reato molto meno grave del temuto furto di segreti di Stato, punibile con la morte. I 4 rimangono in carcere. Il parere di esperti.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La pubblica accusa ha oggi arrestato in modo formale i 4 dipendenti della società anglo-australiana Rio Tinto per “avere usato mezzi illeciti per ottenere segreti commerciali circa la produzione d’acciaio della Cina”, secondo quanto rende noto l’agenzia statale Xinhua. Non è spiegato quali siano questi “segreti di Stato” carpiti, né come siano stati trafugati.

L’australiano Stern Hu, dirigente della Rio Tinto, e tre dipendenti cinesi sono stati arrestati il 5 luglio, ma finora non era stato emesso il provvedimento né mossa alcuna accusa formale. Al punto che ieri dirigenti della ditta hanno contestato questa totale mancanza di qualsiasi effettiva accusa.

Secondo indiscrezioni dei media, i quattro avrebbero ottenuto, con pressioni illecite, notizie circa il settore dell’acciaio cinese, al fine di valutare quanto poteva essere tenuto alto il prezzo di vendita del materiale ferroso, di cui la ditta è una produttrice leader mondiale. La Cina è il maggior produttore mondiale di acciaio.

L’accusa iniziale era il furto di segreti di Stato, crimine ben più grave che il semplice spionaggio industriale e che prevede persino la pena di morte. Esperti ritengono che Pechino voglia abbassare il tono del confronto, che ha visto intervenire anche le rispettive ambasciate e membri del governo australiano.

Il reato contestato prevede comunque il carcere fino a 3 anni, che arriva a 7 nei casi “di speciale gravità”.

Il caso ha reso difficili gli scambi commerciali tra Cina e Australia, che sono stati di 53 miliardi di dollari nel 2008. La vicenda è esplosa mentre era in corso una difficile trattativa tra la Rio Tinto e ditte cinesi per determinare un giusto prezzo del minerale ferroso. La ditta era disposta a una diminuzione del 33% circa, alla luce della crisi economica mondiale, mentre la Cina chiedeva un riduzione molto maggiore.

Pechino è consapevole che la vicenda è seguita con attenzione da tutti gli investitori e i commercianti di Paesi occidentali, che potrebbero trovarsi in futuro in condizioni analoghe. Philip Crowey, portavoce del Dipartimento Usa di Stato, ha commentato ieri che come Pechino gestirà la vicenda avrà “conseguenze dirette sul clima del commercio internazionale e sulla volontà dei singoli imprenditori ad investire in Cina”.

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