Prende corpo un nuovo ordine regionale, e il Libano se ne avvantaggia
di Fady Noun
Nel suo discorso di investitura, il nuovo capo dello Stato ha affrontato tutte le questioni cocenti che agitano la coscienza dei libanesi, dal rispetto per gli accordi di Taef alla nazionalità per gli immigrati, dalle armi della Resistenza al tribunale internazionale. Senza false promesse e senza sotterfugi.
Beirut (AsiaNews) – Simbolo dell’unità del Libano, mosaico di confessioni religiose, l’esercito libanese ha, ancora una volta, salvato il Paese dalla disintegrazione. Già due volte, nel 1958 e nel 1988, è stato il suo comandante supremo ad essere stato investito della funzione presidenziale. Da domenica Michel Sleiman è il 12mo presidente del Libano indipendente, trionfalmente eletto da una Camera ricostruita, con 118 voti su 127 presenti.
Il discorso di investitura del nuovo capo dello Stato non ha tralasciato alcuna delle questioni cocenti che agitano la coscienza dei libanesi e che sono state oggetto di polemiche durante gli ultimi tre anni. Dal rispetto degli accordi di Taef, che stabiliscono la parità tra cristiani e musulmani nel governo e nelle alte cariche dello Stato, alla necessità di concedere la nazionalità (e quindi il diritto di voto) agli emigrati che lo desiderano, passando attraverso le armi della Resistenza e la necessità di non “sprecare le carte”, senza dimenticare né il tribunale internazionale destinato a giudicare gli assassini dell’ex premier Rafic Hariri, né le “relazioni privilegiate” con la Siria, così cruciali per la stabilità del Libano: tutto è stato detto sobriamente, senza toni oratori, senza false promesse, ma anche senza sotterfugi.
Il ministro siriano degli esteri, Walid Moallem, primo esponente governativo di Damasco a venire in Libano dopo il ritiro delle truppe siriane, nell’aprile 2005, sul quale le telecamere di sono puntate in quel momento, non ha applaudito quando il presidente eletto ha sollevato la questione dello scambio di ambasciatori tra i due Paesi. Contrariamente al capo della diplomazia iraniana, Manuchehr Mottaki, che gli era seduto accanto ed al suo omologo saudita Saud al Faisal, pure presente alla seduta.
D’altro canto c’era qualcosa di stupefacente, e al limite di incomprensibile nell’eccezionale areopago di invitati stranieri che hanno assistito alla seduta. Nell’emiciclo del parlamento libanese si sono ritrovato gli Stati Uniti, sotto forma di una delegazione di dieci deputati di origine libanese,la Francia, nella persona del suo ministro degli esteri, l’effervescente Bernard Kouchner, l’Europa, con Javier Solana, la Spagna, punta di lancia della Forza internazionale per il mantenimento della pace dell’Onu spiegata nel Sud del Libano, come anche quelle grandi potenze regionali che sono l’Iran e la Turchia, rappresentata dal primo ministro Tayyip Erdogan, l’Arabia Saudita, l’Egitto, senza dimenticare il Qatar, mediatore dell’accordo di Doha, del quale si stava applicando la prima clausola e l’emiro del quale Hamad bin Khalifa Al-Thani, ha simbolicamente co-presieduto la seduta di voto, sedendosi alla sinistra del presidente della Camera.
C’è una Yalta mediorientale dietro l’accordo di Doha e l’elezione di Michel Sleiman? Si è tentati di crederlo, a guardare i sostegni dei quali gode il nuovo regime che si inastalla. Il presidente ha anche ricevuto, gesto fortemente simbolico, una telefonata di felicitazioni dal capo dello Stato siriano. Da parte sua, indicando un legame diretto tra il Libano ed il suo ambiente arabo, il ministro iraniano ha pronunciato una frase sorprendente: “il mantenimento della pace e della calma in questo Paese significa il mantenimento della pace e della calma nell’insieme della regione”. Niente di meno.
Vuol dire che per comprendere ciò che accade in Libano bisogna stare attenti a ciò che succede nell’insieme della regione, compresi Palestina, Iran e Turchia. Per i libanesi, non c’è dubbio che l’accordo di Doha, che ha posto fine ad una crisi di governo di 18 mesi, è legato alle legato ai colloqui indiretti di pace che si tengono, con la mediazione turca, Tra Israele e Siria.
Gli scettici coloni del Golan e della Cisgiordania hanno un bel dire che ne hanno viste altre, il tono adottato dal quotidiano siriano Teshreen, secondo il quale i colloqui autorizzano “un prudente ottimismo”, dice il contrario. Conferma indiretta di questo ottimismo viene dall’affermazione dell’ex capo di stato maggiore israeliano, Ehud Barak, secondo il quale nel caso dei una restituzione alla Siria del Golan, Israele “saprà sbrigarsela” per difendere le sue frontiere.
Damasco però afferma che i legami della Siria con l’Iran “non sono negoziabili”, rispondendo così alle sollecitazioni su tale questione venute da Tel Aviv. Ciò dà un’idea delle difficoltà che ancora aspettano i negoziati tra Israele e Siria, alleata incondizionata di un regime iraniano, il presidente del quale non smette di predire ai quattro venti la prossima “fine di Israele”.
Sapendo anche che per Washington e Tel Aviv non è possibile permettere a Teheran di entrare in possesso dell’arma atomica.
Questa divagazione sul’Iran può sembrare inutile. Non lo è. Dei colloqui di pace tra Israele e Siria avranno certamente delle ripercussioni sulla posizione di Hezbollah, il suo posto ed il suo ruolo sullo scacchiere interno libanese e quindi sulla stabilità del Libano. Di fatto, queste ripercussioni hanno cominciato a farsi sentire attraverso ciò che accade. Senza dubbio, sta nascendo un nuovo ordine regionale, dal quale il Libano ha tratto vantaggio.
Sapranno i libanesi consolidare queste occasiono per immunizzare la loro democrazia ? Sapranno intraprendere le riforme politiche, economiche e militari necessarie ad assicurare la stabilità del loro Paese, quando scoppierà la prossima tempesta regionale? Sapranno affrontare serenamente, per cominciare, i punti successivi dell’accordo di Doha? Questo prevede la formazione di un governo di unità nazionale ed elezioni politiche nella primavera prossima. Il presidente ha chiaramente ricordato, nel suo discorso di nomina, il principio dell’alternanza, ala base di ogni democrazia. Un conforto per l’attuale maggioranza, della quale l’opposizione contesta la rappresentatività. Ma una sfida lanciata a tutti in vista delle prossime legislative, in maggio 2009 ed in prospettiva del futuro. Il Libano si avvia a doversi dotare, sotto il mandato del nuovo presidente, di istituzioni che riflettano ad un tempo la sua diversità e la sua unità, attraverso una legge elettorale moderna e la promozione di una cultura dell’unità nazionale.
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