Premier thailandese: niente “pugno di ferro” per disperdere i manifestanti
Bangkok (AsiaNews/Agenzie) – Il premier thailandese Samak Sundaravej non ricorrerà – al momento – all’uso della forza per disperdere i manifestanti asserragliati nella zona del distretto governativo della capitale. Oggi è scaduto l’ultimatum lanciato dal Primo ministro, in seguito al quale egli avrebbe utilizzato il “pugno di ferro” contro le decine di migliaia di esponenti del People’s Alliance for Democracy (Pad) che ne chiedono a gran voce le dimissioni; sembra che il premier abbia ammorbidito le sue posizioni, sottolineando che il ricorso all’esercito sarebbe “troppo rischioso”.
Ieri la polizia ha ricevuto l’ordine di disperdere i manifestanti, ma finora non è stato preso alcun provvedimento e le forze dell’ordine si limitano a controllare “da lontano” le mosse dei dimostranti. Essi hanno innalzato barricate utilizzando pneumatici, filo spinato e barriere di acciaio per impedire gli accessi alla sede del governo, chiedendo le dimissioni del premier, accusato di essere solo un “fantoccio” nelle mani dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, in esilio a Londra e sul quale pendono diversi capi di imputazione tra i quali reati legati alla corruzione.
Samak dice di non voler ricorrere all’uso della forza, ma denuncia gesti provocatori dei dimostranti nei confronti dei militari: “Vogliono un bagno di sangue nel Paese – è l’accusa che il premier rivolge ai membri del Pad – un nuovo colpo di Stato da parte dei militari”.
Le proteste in Thailandia sono iniziate martedì 26 agosto, quando oltre 30mila simpatizzanti dell’alleanza per la democrazia – legata alla sponda conservatrice del Paese, vicina alla monarchia e agli ambienti militari – si sono riversati nelle strade gridando slogan in cui si chiedevano le dimissioni del premier. Ieri la procura thailandese ha intimato ai manifestanti di abbandonare la sede governativa; essi ribattono che la loro azione intende prima di tutto "proteggere la monarchia nel Paese", minacciata da un presunto piano dell’ex leader Thaksin che vorrebbe “trasformare la Thailandia in una repubblica”. Il vice-portavoce dell’esercito, maggiore Suraphol Tuanthong, afferma che sono stati emessi dei mandati di arresto nei confronti di nove leader della protesta, con i capi di accusa di insurrezione, cospirazione, manifestazione non autorizzata e inosservanza del decreto che ne ingiungeva l’immediata cessazione. Per la legge thailandese “l’insurrezione” equivale all’alto tradimento ed è punibile con la pena di morte o la prigione a vita. Per il momento il governo non ha voluto usare il pugno duro contro i manifestanti, ma la situazione potrebbe precipitare nelle prossime ore.