Polemiche per l'iniziativa di Memorial di pubblicare i nomi dei responsabili della purghe staliniane
La Ong, da poco bollata come 'agente straniero', mette online un elenco di circa 40mila nomi degli agenti della polizia di Stalin che hanno partecipato alla repressione nel periodo del Grande Terrore. Alcuni discendenti chiedono scusa alle vittime, altri vogliono vedere bloccato l'accesso al database, perché temono vendette. Analista: "Serve una terza ondata di destalinizzazione, la storia non sarà chiusa finché non vi sarà pentimento".
Mosca (AsiaNews) - "La Russia non potrà progredire, finché non sarà portata a termine una terza ondata di destalinizzazione, dopo quella del disgelo di Nikita Khrusciov e della perestrojka di Michail Gorbaciov". Così il politologo del Levada Center Andrei Kolesnikov, in un suo articolo sul sito Gazeta.ru, ha commentato la forte reazione che nella società russa ha avuto l'ultima iniziativa della Ong Memorial: pubblicare in un database, sul suo sito internet, i nomi di circa 40mila funzionari dell'Nkvd (la polizia segreta predecessore del Kgb) che Stalin usò per la campagna di repressione nel periodo del 'grande terrore' (1935 e il 1939). L'iniziativa è stata accolta dal plauso dei difensori dei diritti umani, ma alcuni discendenti degli agenti della polizia hanno chiesto che l'accesso al database venga bloccato.
Memorial ha effettuato un lavoro incredibilmente importante per identificare e commemorare migliaia di vittime e, ora, per dare un nome ai loro boia", ha dichiarato Tania Lokshina, direttore di Human Rights Watch per la Russia. "Finora era come se questa gente fosse morta in un disastro naturale, quando invece sono state vittime di crimini commessi da persone", ha spiegato Yan Rachinsky, direttore di Memorial. "Si tratta di un tema molto sensibile - ha commentato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov - e sul quale ovviamente le opinioni divergono e ci sono punti di vista diametralmente opposti, sia gli uni che gli altri hanno i loro argomenti". Ma di quali argomenti parla Peskov?, si chiede nel suo articolo Kolesnikov, "uccidere con false accuse, applicare un piano per distruggere il proprio popolo non ha alcuna argomentazione valida né morale, né storica". "Ci sono solo argomenti politici, in quanto la legittimità del potere oggi viene alimentata da una storia 'gloriosa' e in questa storia non possono esserci pagine oscure", ha poi aggiunto l'esperto riferendosi al fatto che il Cremlino strumentalizza il passato sovietico senza costruire invece un rapporto critico con quell'epoca.
Mentre Memorial pubblicava il suo elenco dei responsabili materiali delle repressioni staliniane, un abitante di Tomsk, Denis Karagodin, è risalito attraverso sue ricerche personali al nome del carnefice del suo bisnonno, arrestato e fucilato durante il 'grande terrore'. Karagodin ha raccontato di essere già stato contattato dalla nipote del funzionario dell'Nkvd responsabile della fucilazione, la quale gli ha chiesto perdono. L'uomo l'ha ringraziata per il coraggio e l'onesta e l'ha invitata ad "azzerare quanto successo", facendo appello alla "riconciliazione civile".
Ma non tutti hanno scelto le scuse e il perdono. Pochi giorni fa, il quotidiano Komsomolskaya Pravda ha riportato la notizia della lettera di alcuni discendenti degli agenti dell'Nkvd, contenuti nella lista di Memorial, i quali hanno chiesto al presidente Vladimir Putin di bloccare l'accesso al database online. Il giornale ha spiegato che i firmatari temono che "nipoti, pronipoti o figli possano cercare vendetta per i parenti, vittime della repressione".
"Questa storia non è finita, perché non vi è stato pentimento. - ha scritto ancora Kolesnikov. - Perché lo Stato copre e loda coloro che hanno effettuato uccisioni di massa, e perseguita coloro che preservano la memoria dei Gulag". Memorial si occupa di diritti umani ma soprattutto della memoria delle repressioni; è stata inserita di recente nella lista delle Ong definite 'agente straniero' in Russia, termine che riporta diritto all'Unione sovietica quando così venivano bollate le spie.
Intanto, un sondaggio del centro demoscopico indipendente Levada ha rivelato che il 26% dei russi, nel 2016, è pronto a giustificare la repressione con necessità politiche; nel 2007, il dato era del 9%.
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