Phnom Penh, aperto il processo contro tre leader Khmer rossi
Alla sbarra l’ex capo di Stato, il “fratello numero due” e l’ex ministro degli Esteri del regime. Nessun procedimento a carico dell’unica donna, Ieng Tirith, affetta da demenza. Devono rispondere di genocidio e crimini di guerra e contro l’umanità. Centinaia di cambogiani chiedono verità e giustizia.
Phnom Penh (AsiaNews) – Il tribunale Onu per i crimini di guerra ha aperto, questa mattina a Phnom Penh, capitale della Cambogia, il processo a carico di tre leader Khmer rossi; la prima udienza arriva a più di trent’anni dai massacri perpetrati dai rivoluzionari maoisti guidati dal sanguinario Pol Pot, che sotto una feroce dittatura hanno causato la morte di circa un quarto della popolazione (quasi due milioni di vittime su un totale di otto milioni di persone). Dichiarando aperta “l’importante udienza”, il giudice Nil Nonn ha presentato gli imputati: Nuon Chea, conosciuto con il soprannome di “Fratello numero due”; Khieu Samphan, ex capo di Stato della Kampuchea Democratica, come veniva chiamata la Cambogia ai tempi dei Khmer rossi; Ieng Sary, ex ministro degli Esteri del regime.
I tre leader alla sbarra respingono le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, per la morte di quasi due milioni di persone fra il 1975 e il 1979. E fra loro, il solo Khieu Samphan ha affermato di voler collaborare – almeno in parte – con i giudici, per i fatti di cui è “a piena conoscenza” al fine di “scoprire la verità”. Non verrà invece processata Ieng Thirith, la “first lady” del regime e sola donna imputata nei procedimenti contro i leader “rossi”; la donna è stata infatti dichiarata “non idonea” a sostenere un processo, perché colpita da demenza. I giudici hanno ordinato il suo rilascio, ma è ancora rinchiusa in cella in attesa dell’appello, che dovrebbe concludersi entro le prossime due settimane.
Centinaia di cambogiani, fra cui monaci, studenti e sopravvissuti alla dittatura hanno affollato il tribunale, per assistere al primo giorno – dei quattro previsti – di udienza riservati alle dichiarazioni preliminari. Ancora oggi la nazione riporta i traumi e le ferite provocate dal regime comunista, anche se per molti anni i leader di governo hanno preferito “dimenticare” la tragedia in nome della pace sociale e della coesione nazionale. “Sono molto felice” ha dichiarato il 75enne agricoltore Sao Kuon, scampato ai massacri e giunto in tribunale per assistere alle udienze. “Sono venuto fin qui – aggiunge l’uomo, che ha perso 11 parenti sotto il regime dei Khmer rossi – perché voglio conoscere la storia e capire come tutto ciò è potuto succedere”.
Dopo anni di oblio, ricerca di riscatto attraverso l’economia e il denaro, omertà e silenzi sui massacri, oggi la popolazione cambogiana, i giovani del Paese, sembrano più interessati a studiare il recente passato, avviare un processo di revisione storica, analizzare le tappe che determinato l’ascesa di Pol Pot – deceduto per morte naturale nel 1998, senza mai aver affrontato un tribunale – e gli anni seguenti la caduta del regime. L’ideologia rivoluzionaria dei Khmer rossi intendeva creare un “uomo nuovo”, legato alla terra e al lavoro nei campi; in realtà, essa ha causato il più grande sterminio della storia recente per malnutrizione, lavoro forzato ed esecuzioni di massa.
Il processo contro i tre leader è il secondo procedimento del tribunale internazionale Onu – più volte criticato per inefficienza e corruzione – a carico dei vertici del regime. Il primo ha portato alla condanna a 30 anni di carcere per Kaing Guek Eav, meglio noto come “compagno Duch”, il solo che ha ammesso le proprie colpe e chiesto perdono alle vittime. Egli ha diretto la famigerata S-21, la prigione di massima sicurezza nel centro di Phnom Penh, riservata in particolare agli “epurati” del regime, in cui sono morte oltre 15mila persone e solo sette sono sopravvissute. L’inizio dell’appello è previsto per il prossimo 3 febbraio.
Il tribunale dovrebbe inoltre avviare un terzo processo contro altre personalità legate al vecchio regime, con gradi e responsabilità inferiori ai cinque finora imputati. Tuttavia, il “procedimento numero tre” ha incontrato fortissime opposizioni all’interno del governo, in particolare del Primo ministro Hun Sen, anch’egli quadro e affiliato ai Khmer rossi in passato. Altre iniziative, ha detto di recente, “non saranno ammesse”.
I tre leader alla sbarra respingono le accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, per la morte di quasi due milioni di persone fra il 1975 e il 1979. E fra loro, il solo Khieu Samphan ha affermato di voler collaborare – almeno in parte – con i giudici, per i fatti di cui è “a piena conoscenza” al fine di “scoprire la verità”. Non verrà invece processata Ieng Thirith, la “first lady” del regime e sola donna imputata nei procedimenti contro i leader “rossi”; la donna è stata infatti dichiarata “non idonea” a sostenere un processo, perché colpita da demenza. I giudici hanno ordinato il suo rilascio, ma è ancora rinchiusa in cella in attesa dell’appello, che dovrebbe concludersi entro le prossime due settimane.
Centinaia di cambogiani, fra cui monaci, studenti e sopravvissuti alla dittatura hanno affollato il tribunale, per assistere al primo giorno – dei quattro previsti – di udienza riservati alle dichiarazioni preliminari. Ancora oggi la nazione riporta i traumi e le ferite provocate dal regime comunista, anche se per molti anni i leader di governo hanno preferito “dimenticare” la tragedia in nome della pace sociale e della coesione nazionale. “Sono molto felice” ha dichiarato il 75enne agricoltore Sao Kuon, scampato ai massacri e giunto in tribunale per assistere alle udienze. “Sono venuto fin qui – aggiunge l’uomo, che ha perso 11 parenti sotto il regime dei Khmer rossi – perché voglio conoscere la storia e capire come tutto ciò è potuto succedere”.
Dopo anni di oblio, ricerca di riscatto attraverso l’economia e il denaro, omertà e silenzi sui massacri, oggi la popolazione cambogiana, i giovani del Paese, sembrano più interessati a studiare il recente passato, avviare un processo di revisione storica, analizzare le tappe che determinato l’ascesa di Pol Pot – deceduto per morte naturale nel 1998, senza mai aver affrontato un tribunale – e gli anni seguenti la caduta del regime. L’ideologia rivoluzionaria dei Khmer rossi intendeva creare un “uomo nuovo”, legato alla terra e al lavoro nei campi; in realtà, essa ha causato il più grande sterminio della storia recente per malnutrizione, lavoro forzato ed esecuzioni di massa.
Il processo contro i tre leader è il secondo procedimento del tribunale internazionale Onu – più volte criticato per inefficienza e corruzione – a carico dei vertici del regime. Il primo ha portato alla condanna a 30 anni di carcere per Kaing Guek Eav, meglio noto come “compagno Duch”, il solo che ha ammesso le proprie colpe e chiesto perdono alle vittime. Egli ha diretto la famigerata S-21, la prigione di massima sicurezza nel centro di Phnom Penh, riservata in particolare agli “epurati” del regime, in cui sono morte oltre 15mila persone e solo sette sono sopravvissute. L’inizio dell’appello è previsto per il prossimo 3 febbraio.
Il tribunale dovrebbe inoltre avviare un terzo processo contro altre personalità legate al vecchio regime, con gradi e responsabilità inferiori ai cinque finora imputati. Tuttavia, il “procedimento numero tre” ha incontrato fortissime opposizioni all’interno del governo, in particolare del Primo ministro Hun Sen, anch’egli quadro e affiliato ai Khmer rossi in passato. Altre iniziative, ha detto di recente, “non saranno ammesse”.
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