Pescatori: i nuovi progetti di sviluppo di Colombo devono proteggerci, non distruggerci
di Melani Manel Perera
Il governo dello Sri Lanka ha affittato per i prossimi 99 anni le zone naturalistiche più belle e incontaminate per costruire alberghi, resort, campi da golf, piste per idrovolanti e servizi di aero-taxi. Mobilitazione di cattolici, società civile e religiosi contro l’esproprio delle terre.
Colombo (AsiaNews) – “Siamo contadini e pescatori, pretendiamo uno sviluppo che protegga noi, la nostra vita e il nostro sostentamento. Senza distruggere l’ambiente”. Lo afferma il bonzo Panama Chandrarathana Thero, presidente delle due divisioni di Uva Wellassa, a proposito dei numerosi progetti di sviluppo varati dal governo dello Sri Lanka. Rappresentanti della società civile, sacerdoti, suore e fedeli cattolici hanno partecipato a un seminario e una manifestazione, organizzate dal Land Forum, la National Fisheries Solidarity Movement (Nafso) e il Praja Abhilasa Network.
Sfruttando una delle risorse più grandi dell’isola – una natura pressoché incontaminata in molte zone –, il governo dello Sri Lanka ha affittato per i prossimi 99 anni le terre delle isole Kalpitiya, Negombo, Rathgama, Vakarei, Arugambe, Panama e Akkaraipattu per costruire alberghi, resort, campi da golf, piste d’atterraggio per idrovolanti e servizi di aero-taxi. Progetti per promuovere il turismo per reagire all’impasse economica nata dopo il trentennale conflitto etnico. Ma anziché esserne beneficiari, gli abitanti di quelle zone sono le prime vittime di uno sviluppo non a misura d’uomo. Gli espropri sono ormai all’ordine del giorno, e i 200mila sfollati interni (Idp – Internally Displaced People) – a causa della guerra – sono destinati ad aumentare.
Il cattolico Dinesh Suranjan, della All Ceylon Fisher Folk Trade Union, è originario di Kalpitiya: “Viviamo in quelle isole da generazioni, ma non ci considerano cittadini. Infatti, nessuno ci ha consultato prima di affittare le nostre terre per la promozione turistica della zona. Quello che vogliamo è vivere in armonia con i nostri mezzi di sussistenza”.
“A Mullikulam (distretto di Mannar) dove vivevo, c’erano vivevano 450 famiglie – racconta Joseph Francis, cattolico – siamo tutti sfollati, ma abbiamo bisogno di tornare nel nostro villaggio. L’agricoltura e la pesca sono le nostre principali occupazioni. Perché noi non traiamo alcun beneficio da questa cosiddetta libertà, mentre altri ne possono godere? Quando le autorità ci permetteranno di tornare a casa?”.
Anthony Thame è un pescatore di Parakrama Samudra Polonnaruwa. Anche la sua casa è stata espropriata: “Non vogliamo idrovolanti. Questa è la nostra vita. Quando gli idrovolanti atterreranno nel nostro bacino, la fauna del luogo da cui dipende il nostro sostentamento sarà spazzata via. Nessun organismo o ente contesta questa situazione e noi non sappiamo cosa sarà di noi”.
Sfruttando una delle risorse più grandi dell’isola – una natura pressoché incontaminata in molte zone –, il governo dello Sri Lanka ha affittato per i prossimi 99 anni le terre delle isole Kalpitiya, Negombo, Rathgama, Vakarei, Arugambe, Panama e Akkaraipattu per costruire alberghi, resort, campi da golf, piste d’atterraggio per idrovolanti e servizi di aero-taxi. Progetti per promuovere il turismo per reagire all’impasse economica nata dopo il trentennale conflitto etnico. Ma anziché esserne beneficiari, gli abitanti di quelle zone sono le prime vittime di uno sviluppo non a misura d’uomo. Gli espropri sono ormai all’ordine del giorno, e i 200mila sfollati interni (Idp – Internally Displaced People) – a causa della guerra – sono destinati ad aumentare.
Il cattolico Dinesh Suranjan, della All Ceylon Fisher Folk Trade Union, è originario di Kalpitiya: “Viviamo in quelle isole da generazioni, ma non ci considerano cittadini. Infatti, nessuno ci ha consultato prima di affittare le nostre terre per la promozione turistica della zona. Quello che vogliamo è vivere in armonia con i nostri mezzi di sussistenza”.
“A Mullikulam (distretto di Mannar) dove vivevo, c’erano vivevano 450 famiglie – racconta Joseph Francis, cattolico – siamo tutti sfollati, ma abbiamo bisogno di tornare nel nostro villaggio. L’agricoltura e la pesca sono le nostre principali occupazioni. Perché noi non traiamo alcun beneficio da questa cosiddetta libertà, mentre altri ne possono godere? Quando le autorità ci permetteranno di tornare a casa?”.
Anthony Thame è un pescatore di Parakrama Samudra Polonnaruwa. Anche la sua casa è stata espropriata: “Non vogliamo idrovolanti. Questa è la nostra vita. Quando gli idrovolanti atterreranno nel nostro bacino, la fauna del luogo da cui dipende il nostro sostentamento sarà spazzata via. Nessun organismo o ente contesta questa situazione e noi non sappiamo cosa sarà di noi”.
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