06/09/2023, 15.19
INDIA
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Per il G20 'India' diventa 'Bharat' e si accende la polemica

La dicitura che utilizza la parola in hindi è apparsa sugli inviti ufficiali recapitati ai delegati del Gruppo dei 20. L'opposizione, che non a caso ha scelto come nome per la propria coalizione INDIA, ha accusato il Bharatiya Janata Party del primo ministro Narendra Modi di voler ancora una volta riscrivere la storia del Paese. Nel frattempo sono state demolite le baraccopoli di New Delhi vicine al centro congressi dove si terrà il summit.

New Delhi (AsiaNews) - India o Bharat? Ieri i delegati stranieri del G20 hanno ricevuto un invito a cena per il 9 settembre da parte dell'ufficio della presidente indiana Droupadi Murmu definita “presidente di Bharat”, e non, come è di consueto nei documenti ufficiali, “presidente dell’India”. 

Dopo la circolazione di alcune immagini degli inviti sui social media è scoppiata la polemica. La notizia è infatti arrivata solo tre giorni dopo l’appello lanciato da Mohan Bhagwat, capo dell’organizzazione paramilitare e ultranazionalista Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), affinché i cittadini smettano di dire “India” e utilizzino invece il termine “Bharat”: “Il nome del nostro Paese è Bharat da secoli”, ha detto in un evento a Guwahati. “Qualunque sia la lingua, il nome rimane lo stesso”.

“Bharat” è la parola di origine sanscrita utilizzata in hindi (e in altre lingue straniere) per dire India. La Costituzione non prevede una lingua nazionale, ma ne riconosce ufficialmente 22, mentre l’inglese, eredità della colonizzazione britannica, continua a essere utilizzato nei documenti ufficiali, negli affari e nel settore dell’istruzione. L’utilizzo di una parola o dell’altra oggi dipende molto dal contesto e dai parlanti, però entrambi, per esempio, appaiono sul passaporto indiano. La stessa Costituzione parla di “popolo dell’India che è Bharat”, e definisce la nazione un’”Unione di Stati”, dando apparentemente precedenza al primo termine rispetto al secondo. In realtà le questioni di “nazionalismo linguistico” si ripresentano ciclicamente in India. Negli anni ‘90 i nomi inglesi di molte città vennero cancellati e sostituiti con i nomi in lingua locale. 

I politici del Bharatiya Janata, il partito ultranazionalista indù da cui proviene anche il primo ministro Narendra Modi, hanno accolto con favore l’utilizzo della parola “Bharat”. Il deputato Harnath Singh Yadav ha dichiarato all’agenzia stampa ANI che “Il tipo di ispirazione e devozione che la parola ‘Bharat’ invoca, ‘India’ non potrà mai farlo”. La parola “India” - ha continuato - “è un abuso che gli inglesi hanno usato nei nostri confronti. Usavano la parola per riferirsi a chiunque ritenessero rozzo, sciocco e criminale”. 

Da tempo il governo guidato dal premier Modi cerca di liberarsi di tutti i simboli e i nomi che rimandano in qualche modo al periodo coloniale, durato circa due secoli: negli ultimi anni sono stati rinominati luoghi di interesse pubblico e sono state installate sculture che richiamano personaggi storici e leggendari della tradizione induista. 

Al contrario, la colazione dell’opposizione, che non a caso in vista delle elezioni politiche ha scelto di denominarsi INDIA (acronimo di Indian National Developmental Inclusive Alliance), si è fin da subito opposta alla scelta del nome in hindi: secondo il segretario generale del Congress, principale partito politico d'opposizione, l’utilizzo del termine Bharat non è altro che l’ennesimo tentativo di Modi di di distorcere la storia del Paese.

Allo stesso modo diverse vignette satiriche circolate sui quotidiani locali e online hanno preso in giro gli inviti firmati dalla presidente Droupadi Murmu. In particolare un disegno di PenPencilDraw ha fatto riferimento alle demolizioni delle baraccopoli in vista dell’apertura del G20 questo fine settimana: nell’immagine si vede il premier Modi coprire una tenda tre poveri sul ciglio della strada. Sulla tenda compare la scritta “G20 Welcome to Bharat”.

Nei giorni scorsi infatti, gli slum della capitale New Delhi vicini al centro congressi che ospiterà i rappresentanti delle 20 principali economie mondiali sono stati rasi al suolo. Decine di migliaia di residenti che vivono in condizioni di marginalità sono stati sfrattati. Il governo si è giustificato affermando che le strutture erano “illegali”, aggiungendo di voler ricollocare alcune delle comunità colpite. In realtà diversi attivisti che da mesi seguono la questione sono convinti si tratti di un’operazione di “abbellimento” atta a impressionare i dignitari stranieri, nascondendo uno dei problemi più radicati dell’India: la povertà.

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