Per “preservare” il centro di Pechino, 200mila sfratti
La municipalità ha presentato il suo 11esimo Piano quinquennale per la preservazione culturale e storica. Fra i provvedimenti, lo sfratto dei residenti del centro storico e l’imposizione di parametri estetici per ogni lavoro edile. Ex funzionario spera che dietro a tutto ciò “non vi sia la voglia di denaro”.
Pechino (AsiaNews) – Entro i prossimi 5 anni, circa 200mila residenti saranno cacciati con la forza dal centro di Pechino. La decisione rientra in un piano che cerca di preservare il patrimonio culturale della città. L’ordine di “rilocazione” è contenuto nell’11esimo Piano quinquennale per la preservazione di Pechino “come città culturale e storica”, pubblicato agli inizi della settimana dalla Commissione urbanistica della municipalità.
Secondo il testo, le autorità “cercheranno in 5 anni di alleggerire la pressione della popolazione degli affollati distretti centrali. Tutto questo avverrà nel pieno rispetto delle procedure legali, amministrative ed economiche”. Il progetto copre un’area totale di 16.410 chilometri quadrati, l’intera estensione di Pechino e della sua periferia.
Oltre agli sfratti, sono previste politiche locali tese a preservare il patrimonio culturale, i resti archeologici, gli edifici ed i paesaggi storici della capitale. I distributori di benzina, ad esempio, non verranno più costruiti nelle zone antiche della città, ed ogni modifica di cortili interni o facciate dei palazzi dovrà rispondere a stretti parametri estetici.
Tutto questo cozza con le politiche urbanistiche adottate da Pechino sin dalla fine degli anni ’90 quando, per prepararsi alle Olimpiadi, sono iniziate le demolizioni forzate di alcuni fra i più bei quartieri della capitale. All’interno dell’Erhuan - il “secondo anello”, che rappresenta il centro storico della città – sono state distrutte case del 1300 ed un tempio taoista del 1400.
Secondo alcuni cattolici locali, più della metà del centro storico è scomparsa da tempo sotto la violenza dei bulldozer. Non esistono più da tempo i siheyuan, le case con cortile interno costruite fin dal tempo dei Ming. Il quartiere dei mandarini, attiguo alla Città Proibita, è sventrato.
Inoltre, i residenti denunciano da anni le tattiche intimidatorie usate dal governo per cacciarli dal giorno alla notte dalle proprie case: intimidazioni e minacce; interruzione dell’erogazione di luce e gas; atti di violenza contro gli abitanti e persino, in alcuni casi, demolizioni avvenute “di nascosto”, mentre la casa era vuota.
A tutto questo il governo risponde con i “risarcimenti” che vengono elargiti agli sfollati. La somma di denaro data ad una famiglia che abitava nei pressi di Zhongnanhai [il quartiere governativo, dove vivono i dirigenti del Partito comunista cinese ndr] non basta tuttavia neanche per comprare un piccolo appartamento in un edificio scadente della periferia.
Dietro a tutto questo si nasconde una lucrosa collaborazione fra governo locale, appaltatori e magistratura, che non interviene e non accetta denunce e petizioni presentate dai cittadini contro questi atti. Per protestare contro questo stato di cose, si sono verificati nel tempo alcuni terribili episodi, come i manifestanti che si sono dati fuoco e si sono lasciati morire davanti alla loro casa.
Anche in quest’ultimo caso, il timore è che avvengano le stesse cose. Lo conferma indirettamente Liu Xiaoshi, ex direttore dell’Ufficio pianificazione urbanistica, che dice di essere “curioso di vedere come le autorità sposteranno 200mila persone in maniera ragionevole”. Inoltre, aggiunge, “queste rilocazioni dovranno avvenire nel rispetto degli interessi dei residenti, e non di chi le attua”.
Secondo Liu, infatti, “il governo deve assicurarsi che questo progetto non è stato approvato in vista dei possibili profitti che se ne potrebbero ricavare. Penso a coloro che investono nei terreni ed ai dirigenti corrotti”.
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