Pena di morte e traffico di immigrati frenano lo sviluppo integrale del Regno saudita
Riyadh (AsiaNews) - "L'Arabia saudita deve fermare la pena di morte", perché "per essere un buon Paese non basta avere un'economia in crescita. Serve uno sviluppo integrale". È quanto afferma ad AsiaNews una fonte saudita, anonima per motivi di sicurezza, sulla situazione del Regno e le sue contraddizioni, spesso ignorate dalla comunità internazionale: violazioni dei diritti umani, abusi, discriminazione nei confronti delle donne. A questo si aggiunge il traffico illegale che si cela dietro 10 milioni di lavoratori stranieri, il 41% circa su una popolazione di oltre 24 milioni di persone: grazie alla pressoché totale assenza di norme e controlli, di almeno 5 milioni di migranti "non conosciamo nomi, qualifiche, agenzie di collocamento". E che in genere, spiega la fonte, "sono minorenni, senza l'età legale per poter emigrare e svolgere qualunque mestiere".
Secondo la fonte, "la questione è molto seria", e va "oltre i singoli episodi" che salgono agli onori delle cronache. È il caso di Rizana Nafeek, giovane cameriera musulmana, giustiziata in Arabia saudita per il presunto omicidio di un neonato. Una vicenda "tristemente esemplare", che testimonia la necessità, per l'Arabia saudita, "di tentare strade diverse e più idonee" per giudicare chi commette un crimine.
Un bisogno, spiega la fonte ad AsiaNews, che "negli ultimi 10 anni ha suscitato una reazione da parte della società civile", legata alla pena di morte, alla repressione di blogger e attivisti; alle violazioni dei diritti umani. Questo, anche se il Paese cerca di presentarsi - soprattutto agli occhi della comunità internazionale - sotto il suo lato migliore: il successo e la crescita economica. "La popolazione - sottolinea - ha la sensazione che c'è ancora qualcosa di sbagliato. Anche se il Regno sta attraversando un vero e proprio boom economico, manca ancora qualcosa: lo sviluppo di un sistema di leggi adeguato e una riforma della giustizia. Questo tipo di progresso sta andando di pari passo con quello economico? La risposta è no".
Secondo la fonte saudita, "la componente religiosa e fondamentalista ha la sua colpa: tutto è controllato dal partito islamico, quindi resta ben poco spazio per una legge che si occupi dell'emergenza umanitaria e delle questioni a essa legate". Ad aggravare la situazione, anche l'atteggiamento dei Paesi stranieri, che preferiscono rinsaldare i propri rapporti commerciali con i Regno, anziché "sollevare questioni scottanti", come la pena di morte. "Ogni tanto - spiega - qualcuno denuncia gli abusi compiuti nel nostro Paese. Ma ormai non è più tempo di dare suggerimenti. Questo problema va sollevato e affrontato in modo serio il prima possibile. L'Arabia saudita non sta guardando al proprio futuro. Se non si fa qualcosa in fretta, nei prossimi cinque o sei anni la situazione diventerà ancora più critica". (GM)
17/04/2018 13:06