Pena di morte a Taiwan: la Chiesa si oppone, ma l’opinione pubblica è contro la moratoria
Taipei (AsiaNews) – Lo stupro e l’uccisione di una studentessa di 13 anni, di cui deve rispondere un maniaco sessuale, hanno obbligato il governo di Taiwan a interrompere la moratoria delle esecuzioni. Un sondaggio della pubblica opinione ha dimostrato che il 70% delle persone a Taiwan sono a favore del mantenimento della pena capitale.
Johnny Chian, ministro dell’Ufficio informazione del governo, ha dichiarato il 28 marzo che non si è ancora formato un consenso sull’abolizione della pena di morte e l’argomento avrà bisogno di essere analizzato ancora razionalmente. Questa dichiarazione è una risposta alla notizia, rivelata poco prima da Amnesty International, in cui si criticava Taiwan per la ripresa delle esecuzioni. Con questo il Paese torna a far parte del gruppo di 23 nazioni che hanno praticato la pena di morte nel 2010.
Nel suo rapporto annuale “Condanne a morte e esecuzioni nel 2010” , Amnesty International afferma che il mondo segue con attenzione la situazione a Taiwan dopo che il ministro Wang Ching-feng ha dato le dimissioni nel 2010, dal momento che essa, quale responsabile della Giustizia, era contraria alla pena di morte. Nel frattempo la Conferenza episcopale regionale ha preso posizione nell’aprile 2010 sulla pena di morte. I vescovi chiedevano con urgenza al governo e alla gente di considerare l’abolizione della pena di morte, e di prendere posizione per sospendere le esecuzioni in attesa della sua completa abolizione, così da rispettare la dignità della persona umana e la sacralità della vita.
Il successore della Wang, Tseng Yung-fu, ha fatto eseguire le condanne per quattro ospiti del braccio della morte nell’aprile 2010. Amnesty International ha ufficialmente criticato le esecuzioni a Taiwan di altri cinque uomini all’inizio del mese. La moratoria per le esecuzioni durava sull’isola dal 2005.
La discussione sulla condanna capitale si è riaperta nel gennaio 2011 quando il governo di Taiwan ha rivelato che forse nel 1997 è stato giustiziato un soldato, innocente, dell’aviazione militare. L’uomo fu condannato per lo stupro e l’assassinio di una bambina di cinque anni; ma la confessione fu estorta con la tortura. Il presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, ha chiesto ufficialmente scusa alla famiglia.
Comunque all’inizio della settimana scora un uomo di 34 anni, Lin Kuo-cheng, rilasciato in libertà provvisoria il mese scorso dopo aver scontato otto anni in prigione per aggressioni sessuali commesse nel 2002, ha confessato di aver stuprato e ucciso una studentessa di 13 anni a Yunlin. Lin è stato condannato anche per un’altra aggressione sessuale nel 1996 e imprigionato dal 1997 al 2001. Il suo caso ha impressionato l’opinione pubblica, e molti hanno chiesto alle autorità giudiziarie di condannarlo a morte.
Il ministero della giustizia deciderà nel giro di tre mesi se introdurre la fustigazione e la castrazione chimica per i responsabili di aggressioni sessuali, ha detto il ministro Tseng. Il ministro ha fatto queste dichiarazioni durante una sessione di domande e risposte in parlamento, nel corso della quale alcuni membri del Partito nazionalista cinese hanno chiesto al ministro di seguire l’esempio di Singapore e di usare la fustigazione, o quello di altri Paesi che hanno reso la castrazione chimica obbligatoria per i responsabili di aggressioni sessuali. La richiesta è venuta in seguito al caso della tredicenne violentata e uccisa.
Secondo le statistiche del ministero della Giustizia circa il 22% dei responsabili di aggressioni sessuali commettono crimini, ma solo il tre per cento dei crimini commessi hanno sfondo sessuale. Il numero di aggressori sessuali scoperti dal 2004 al 2010 è stato di circa 344, e 15 di loro hanno commesso ripetutamente aggressioni sessuali. Circa il 22% di aggressori sessuali commettono un altro crimine nei cinque anni successivi.
Il presidente Ma ha detto la settimana scorsa che Taiwan continuerà a eseguire condanne verso i prigionieri del braccio della morte, perché la legge del Paese vuole così, ma che il governo lavora per ridurre l’uso della pena capitale. La dichiarazione di Ma è giunta dopo che il presidente dell’ International Ombudsman Institute, Beverley Wakem, ha affermato che alcuni Paesi violano i diritti umani applicando la pena di morte. Amnesty International sostiene che i Paesi che continuano a usare la pena di morte sono sempre più isolati. Un totale di 31 nazioni hanno abolito la pena capitale nel corso degli ultimi 10 anni. Fra i Paesi che vi fanno ricorso più di frequente ci sono Cina, Iran, Arabia Saudita, Stati Uniti e Yemen. Dopo la Cina, l’Iran è al secondo posto con 252 esecuzioni nel 2010; seguono Corea del nord (60), Yemen (53), Stati Uniti (46) e Arabia saudita (27). Il numero globale delle esecuzioni è sceso rispetto all’anno precedente, afferma Amnesty Internationa; ma l’elenco non comprende la Cina, dove i dati sono tenuti segreti dal governo, e dove si ritiene che ogni anno abbiano luogo migliaia di esecuzioni. Nel 2006 un alto esponente politico riportò la cifra di circa diecimila esecuzioni all’anno.
21/06/2011