Pechino teme la Grecia, che può rovinare il suo Pil e il potere del Partito
Pechino (AsiaNews) - La crisi dell'Eurogruppo e l'incertezza sul futuro economico della Grecia mettono a rischio l'economia cinese e quella asiatica, che vedono nell'Europa il proprio maggiore mercato per le esportazioni e temono più di ogni altra cose le incertezze che in questi mesi stanno dominando le Borse e le Cancellerie continentali. Il maggior fondo di investimenti cinesi ha interrotto l'acquisto del debito estero di tutte le nazioni europee e i suoi proprietari accusano i leader dei 27 di "mancanza di leadership".
L'ultimo attacco in ordine di tempo viene da Jin Liqun, presidente del consiglio di amministrazione della ChinaInvestment Corp. (Cic), che ha definito le nazioni europee "incapaci di gestire la crisi del debito" del Vecchio Continente e ha aggiunto che "altre nazioni potrebbero lasciare" se la Grecia dovesse uscire dall'unione monetaria. Parlando a un evento organizzato dal Centre for Policy Studies a Londra, il finanziere ha aggiunto: "Dall'inizio della crisi del debito a oggi non si è ancora visto un piano principale per risolverla".
Il fondo sovrano cinese è il quinto al mondo per capacità di acquisto e gestisce circa 440 miliardi di dollari fra investimenti e obbligazioni. Il suo presidente Gao Xiqing ha dichiarato lo scorso 9 maggio che la Cic ha smesso di comprare debito estero dei governi europei "a causa delle preoccupazioni collegate alle agitazioni nella regione. Si è sprecato troppo tempo in chiacchiere, mentre non si sono viste azioni decise per calmare i mercati sul breve e medio periodo". La soluzione, secondo lui, "è collegata alla volontà di chiarezza. Si dica ai greci che devono andare via o che devono lavorare in maniera dura per i prossimi 10 anni per rimanere nell'euro".
Le posizioni del fondo sono preoccupanti. La Cina rappresenta infatti uno dei maggiori motori dell'economia mondiale, ma il suo Pil dipende per il 40% dalle esportazioni: l'Europa è il suo mercato maggiore, con il 18 % di acquisti di beni e servizi provenienti dalle aziende cinesi. Costrette a mantenere il tasso di crescita annuale intorno al 7 %, le autorità comuniste vedono con terrore un collasso caotico dell'Eurozona che porterebbe - stimano alcuni analisti - al rogo di circa 400 miliardi di dollari già investiti in piani di risanamento per il continente.
I mercati danno ragione ai pessimisti. Sulle piazze asiatiche si registra infatti una costante diminuzione del giro d'affari e un calo del tariffario collegato a quasi tutte le aziende dedite alle esportazioni. A Shanghai ieri si è registrato un traffico pari a 7,7 miliardi di azioni, ovvero il 14 % in meno rispetto alla media giornaliera di quest'anno. Il listino Bloomberg China-Us 55 - che registra il traffico delle aziende cinesi collegate alle americane - ha perso quasi 1 punto percentuale. Il listino totale della Borsa cinese ha perso il 4,1 % rispetto al suo massimo, registrato lo scorso 2 marzo.
Questi dati preoccupano molto non solo gli investitori ma anche il governo cinese, che ha fissato per il 2012 un tasso di Prodotto interno lordo non inferiore al 7,5 %. Se le cose dovessero rimanere come sono, dicono gli analisti finanziari, Pechino dovrà invece accontentarsi del 6,8 %. Ma questo vuol dire che si registrerà un nuovo aumento dei prezzi e una nuova stretta sul credito ai privati, tutti fattori che possono scatenare tensioni e rivolte sociali.
Neanche la guerra valutaria sembra poter aiutare la Cina. Il governo comunista ha sempre evitato di mettere la propria moneta - lo yuan - nel mercato valutario comune e ne fissa il tasso di cambio rispetto al dollaro in maniera autonoma. In questo modo mantiene bassi i prezzi e competitivi i propri prodotti all'estero. Secondo Jin, lo yuan "potrà divenire una moneta di scambio internazionale, ma serve tempo. Nei prossimi 10 o 20 anni giocherà un ruolo importante, ma ancora molto insignificante rispetto all'euro o al dollaro".
13/01/2011