Pechino teme instabilità sociale a causa del prezzo del petrolio
Pechino (AsiaNews) – Il governo cinese ha diramato precise istruzioni a tutti i responsabili locali per vegliare sull’incremento dei prezzi e frenare l’espandersi dell’inflazione. Gruppi di supervisori sono stati inviati nelle diverse regioni nel timore che l’aumento dei prezzi dei carburanti, deciso lo scorso 1° novembre, inneschi una “reazione a catena” che porterebbe a una maggiore inflazione e a rivolte sociali.
Il crescente prezzo del barile di petrolio – che potrà presto arrivare a 100 dollari – ha costretto il governo a rivedere le sue scelte e ad aumentare il prezzo dei carburanti di circa il 10% per venire incontro a piccole raffinerie che dopo anni di perdite, avevano deciso di chiudere i battenti, generando il razionamento dei carburanti e le lunghe code alle pompe di benzina.
L’aumento deciso giorni fa è il primo da 17 mesi. Secondo le compagnie petrolifere esso aiuterà ad ammortizzare solo metà delle perdite sostenute finora. Le compagnie petrolifere premono per avere sussidi statali che compensi le loro enormi perdite. Secondo alcuni analisti, la carenza di carburanti perfino nelle ricche regioni costiere, è dovuto alla speranza delle compagnie per un nuovo aumento dei prezzi di vendita di benzine e gasolio. Nell’attesa di guadagni più lauti, essi temporeggiano nella distribuzione dei prodotti. Le compagnie petrolifere vorrebbero liberalizzare il prezzo dei carburanti.
Finora la Cina ha sempre tenuto bassi i prezzi nel timore che l’inflazione aumenti ancora di più. A luglio l’inflazione era del 4,4%. I prezzi degli alimentari erano aumentati fino al 70% .
Pechino teme l’inflazione, che fa aumentare il costo di materie prime e salari, con perdita di competitività per gli investimenti esteri, attratti soprattutto dalla disponibilità di manodopera a basso costo. Forte è anche il rischio di un’ondata di rivolte sociali delle centinaia di milioni di persone che vivono al margine dei benefici portati dalla crescita economica.