Pechino non risponde alle proteste su Ai Weiwei e continua ad arrestare dissidenti
Pechino (AsiaNews) – Pechino non risponde alle voci internazionali per l’immediata liberazione dell’artista Ai Weiwei e cerca di impedire il diffondersi di una raccolta di firme tramite internet che lo sostiene. Intanto prosegue la persecuzione contro i dissidenti.
Nessuna risposta ufficiale c’è stata ai solleciti giunti, tra gli altri, da Stati Uniti, Francia, Germania, Gran Bretagna, Unione europea e Australia per l’immediata liberazione dell’artista, portato via dalla polizia il 7 aprile sera all’aeroporto di Pechino dove doveva imbarcarsi per Hong Kong. Da allora è scomparso, la moglie Lu Qing non ne ha notizie. Soltanto il quotidiano statale Global Times oggi ha criticato i governi occidentali per il loro intervento in questioni di cui non sanno nulla e senza accertare prima le cause dell’arresto. Peraltro il giornale non ha fornito alcuna spiegazione, ma ha rinviato ogni analisi a un futuro “giudizio della storia”.
Oggi è intervenuto pure l’attivista Zhao Lianhai, che ha difeso i diritti dei bambini malati per il latte alla melamina e che per questo è stato condannato al carcere per avere causato disordine sociale. Su un sito di twitter, Zhao ha criticato le autorità per gli arresti senza motivo di Ai e di centinaia di altri dissidenti a partire da metà febbraio, e ha detto che lui e la famiglia vivono sottoposti “a forti pressioni”. Zhao gode di libertà condizionale per ragioni mediche e il suo intervento è pure significativo per il forte rischio che gli sia revocata la libertà.
Persino il Mainland Affairs Council, massimo corpo politico di Taiwan, in un raro commento sulla politica interna di Pechino ha sollecitato “la parte cinese a mettere subito Ai Weiwei in libertà e a dare un’adeguata spiegazione della vicenda”. Ai è noto a Taiwan, dove a novembre ha tenuto una mostra personale.
Su Twitter, pure bloccato dalla censura cinese, centinaia di utenti hanno sottoscritto una petizione per il rilascio di Ai.
Intanto il 5 aprile è giunta notizia formale dell’arresto del legale Li Shuangde, portato via dalla polizia di Chengdu (Sichuan) il 21 marzo, accusato di “frode in carta di credito”, come denuncia il gruppo Chinese Human Rights Defenders.
Il 1° aprile il tribunale di Xi’an (Shaanxi), ha condannato gli attivisti Gao Qiang e Wang Wuqin a 2 anni e a 15 mesi di carcere per “disturbo sociale”, oltre a pagare danni per 60mila yuan; i due sono in carcere dal marzo 2010 per avere organizzato la protesta del villaggio per ottenere gli indennizzi per le terre espropriate per realizzare una fabbrica di mattoni, costruita dal segretario del Pcc del villaggio.
Nicholas Bequelin del gruppo Human Rigths Watch ritiene che ci sia un salto di qualità nella repressione, perché la detenzione di una persona della statura di Ai “può essere avvenuto soltanto con la approvazione di qualcuno dei massimi leader”. Questo arresto “significa che non importa quanto tu sia importante, la polizia può arrestarti quando sceglie”.
Chen Ziming, condannato a 13 anni di carcere come organizzatore del movimento pro-democrazia di piazza Tiananmen, dice il governo vuole togliere di mezzo chiunque da tempo gli causa problemi.
Pure Urgen Tenzin, direttore esecutivo del gruppo per i diritti Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia, considera l’arresto di Ai come “un esempio delle palesi violazioni dei diritti umani in atto in Cina”. “Questo mostra con chiarezza – prosegue in un’intervista esclusiva ad AsiaNews – che diritti umani e libertà di parola non esistono per il potente Partito comunista cinese”. “La Cina usa la forza per mettere a tacere il dissenso, senza preoccuparsi dell’opinione internazionale”.
(ha collaborato Nirmala Carvalho)