Pechino in allerta contro rivolte in Tibet e Xinjiang
Pechino (AsiaNews) – Le autorità cinesi hanno dispiegato truppe e strategie per prevenire ogni rivolta in Tibet e Xnjiang, colpevoli, insieme a “forze ostili”, di voler distruggere “l’unità della nazione”. Il Dalai Lama si dice preoccupato per la tensione; uiguri moderati accusano il governo di impoverire la popolazione.
In un gruppo di studio legato all’Assemblea nazionale del popolo (Anp), in corso nella capitale, il governatore del Tibet, Qiangba Puncog, ha affermato ieri che il suo governo ha attuato misure preventive per vigilare su ogni rischio contro la sicurezza nella regione. “Non vi sarà un’altra rivolta come quella del 14 marzo l’anno scorso… [Ma] è sempre possibile che qualche sostenitore del Dalai Lama si prenda il rischio di qualche gesto temerario”. Qiangba Puncong ha continuato a criticare il Dalai Lama e il suo governo in esilio, che costituiscono una minaccia per la stabilità della regione. Quest’oggi anche il ministro degli Esteri, Yang Jiechi ha accusato il Dalai Lama di non essere “per nulla un leader religioso, ma politico”, che cerca di “separare il Tibet dalla Cina”. Yang ha anche criticato quei Paesi che danno inviti al leader religioso tibetano. “Le altre nazioni – ha detto – non dovrebbero permettere visite al Dalai e non dovrebbero permettergli di usare il loro territorio per attività secessionistiche”.
Da anni il Dalai Lama afferma il suo desiderio di ritornare in Tibet, chiedendo solo un’autonomia culturale e religiosa er salvare i tibetani dal genocidio culturale, ma Pechino lo accusa di attività separatiste. In queste settimane il leader religioso tibetano si è detto spesso preoccupato per la tensione crescente in Tibet, che potrebbe portare a scontri e nuovi morti e arresti, come nello scorso anno. Quest’anno cade anche il 50° anniversario della rivolta tibetana del ’59, soffocata con la repressione militare e che ha portato il Dalai Lama in esilio. “È necessario – ha detto Qiangba Puncong – aumentare il numero di armati, polizia, vigili del fuoco, forze di frontiera e personale di sicurezza”.
Anche per lo Xinjiang, dove la comunità uiguri chiede maggiore autonomia, Pechino ha provveduto a aumentare il controllo militare. Quest’anno la Cina vuole festeggiare i 60 anni della “pacifica liberazione” dello Xinjiang, con l’entrata dell’esercito cinese nella regione. Ma molti uiguri vedono questa come un’invasione. Ieri, sempre durante un gruppo di studio all’Anp, l governatore dello Xinjiang, Nur Bekri, ha detto che “quest’anno la situazione della sicurezza sarà ancora più severa, il compito più arduo, e la lotta più feroce…È un tempo di celebrazione per lo Xinjiang, ma forze ostili non si fermeranno nell’usare questa opportunità per distruggerla”. L’anno scorso, per prevenire “attacchi terroristi” alle Olimpiadi, Pechino ha arrestato più di 1000 uiguri.
Ma personalità di questa etnia musulmana, accusano il governo cinese di essere insensibile soprattutto alle basilari necessità economiche del gruppo. Secondo Ilham Tohti, professore di economia all’università centrale per le nazionalità, a Pechino, il problema più grave è la disoccupazione che colpisce gli uiguri. Ciò è dovuto all’emarginazione del gruppo dalle strutture amministrative e dalle industrie statali e da una politica di colonizzazione, trasferendo ogni anno migliaia di cinesi Han nella regione. In un’intervista a Radio Free Asia, Tohti ha accusato proprio il governatore Bekhri di insensibilità verso gli uiguri: “Egli sottolinea sempre la stabilità e la sicurezza dello Xinjiang e minaccia gli uiguri. Lo Xinjiang è sviluppato, ma la gente è povera, soprattutto gli uiguri”.
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