Pechino dice addio ai Giochi olimpici. Un piccolo bilancio
Pechino (AsiaNews) – Con i fuochi d’artificio lungo l’asse meridiano di Pechino (“il centro del mondo”), dallo stadio “Nido d’uccello” fino a una piazza Tiananmen deserta, si è conclusa la XXIX edizione dei Giochi Olimpici. La splendente cerimonia finale – forse un po’ più sobria di quella d’inizio – è iniziata alle 20 (ora locale) in uno stadio ridondante di spettatori, atleti, acrobati, cantanti, tamburi, luci, comparse;al centro, un palco circolare circondato da un quadrato, che ricorda l’altare del Tempio del Cielo, dove cielo e terra – secondo la simbologia cinese – si incontrano. E per invogliare a partecipare alla prossima edizione a Londra, non sono mancati Jimmy Page dei Led Zeppelin, la cantante Fiona Lewis e il calciatore David Beckham. A sottolineare l’internazionalità delle Olimpiadi hanno cantato anche il tenore Placido Domingo e il soprano cinese Song Zuying.
A un banchetto offerto in mattinata da Hu Jintao ai dignitari politici e internazionali, il presidente cinese ha esaltato l’atmosfera olimpica, fatta di “spirito di solidarietà, amicizia e pace”, che promuoverà ancora di più “la comprensione mutua e l’amicizia fra il popolo cinese e i popoli delle altre nazioni”.
L’enfasi retorica abbonda anche nel messaggio di Zhang Yimou, il regista direttore delle cerimonie d’inizio e fine delle Olimpiadi: “La fiamma olimpica non è spenta; … essa brucerà nel cuore di ognuno di noi”. E ancora: “Ci mancherete tanto e ricorderemo per sempre ogni momento di queste settimane. Perciò cantiamo insieme ancora una volta la canzone-tema: ‘Tu ed io, cuore a cuore, siamo una sola famiglia”.
Al suo discorso conclusivo Jacques Rogge ha detto che attraverso queste Olimpiadi “la Cina ha imparato qualcosa del mondo e il mondo ha imparato qualcosa della Cina”. Egli ha definito questa edizione dei Giochi “davvero eccezionale”. In effetti, per il Comitato olimpico internazionale essi sono stati una formidabile operazione commerciale: si prevede che fra sponsor, diritti televisivi, percorso internazionale della torcia (e relativi sponsor), le Olimpiadi di Pechino hanno portato guadagni fino a 5 miliardi di dollari, che entro i prossimi 4 anni potranno giungere fino a 7 miliardi di dollari, quasi raddoppiando gli introiti di quelli di Atene.
Al momento in cui la bandiera olimpica passa nelle mani di Boris Johnson, sindaco di Londra, dove si terranno le prossime Olimpiadi (nel 2012), si può cominciare un bilancio dell’edizione appena conclusa. La Cina ha davvero primeggiato in tantissimi aspetti. Tutti concordano che l’organizzazione, le infrastrutture, il servizio sono stati impeccabili. Molto è dovuto alle miriadi di persone impiegate e zelanti, come pure ai diktat governativi per eliminare il traffico locale; decretare vacanze forzate per i pechinesi; salvaguardare corsie privilegiate per le macchine olimpiche; chiudere e trasferire fabbriche dall’oggi al domani, lasciando disoccupati decine di migliaia di operai.
La Cina ha vinto anche nello sport. Per la prima volta nella storia essa ha superato gli Stati Uniti – con 51 medaglie d’oro rispetto alle 36 degli americani, diventando una “superpotenza sportiva”, oltre che economica e politica. “Ciò che abbiamo compiuto durante questi Giochi – ha detto Liu Peng, ministro dello sport – costituisce una dinamica formidabile per il futuro”.
Ciò in cui Pechino non ha vinto è sul rispetto dei diritti umani. L’associazione della stampa straniera in Cina ha denunciato “il ricorso alla violenza, le intimidazioni e abusi” contro i giornalisti. Sophie Richardson, di Human Rights Watch, afferma che “Questi Giochi affossano in modo definitivo l’idea che essi avrebbero portato qualche progresso. In realtà essi sono stati un catalizzatore di abusi, espropri, detenzioni, repressione politica e ripetute violazioni alla libertà di stampa”.
Da parte del popolo cinese rimane il silenzio: i pechinesi sono stati costretti a starsene in casa “per questioni di sicurezza”; i parchi designati per le proteste sono rimasti vuoti perché le 77 richieste di manifestazioni non hanno ricevuto permessi; dissidenti, attivisti, pastori protestanti, vescovi e preti cattolici sono stati arrestati; chiunque ha osato dire qualcosa – come le due vecchiette Wu Dianyuan, 79 anni, e Wang Xiuying , 77, espropriate della casa – sono state condannate a un anno di lavori forzati.
Eppure la grande esibizione di forze di sicurezza e di controlli non ha fermato né gli incidenti nel Xinjiang, né striscioni e scritte per il Tibet libero. Tutto questo mostra che il gigante cinese è insieme molto potente, ma anche immensamente fragile, e che il muro del controllo è soggetto a crepe e falle. Le rivolte e lo scontento che si registrano ovunque in Cina sono un segno di avvertimento al governo: non è più possibile guidare il Paese senza dare voce al suo popolo.
Un analista cinese – che vuole rimanere anonimo – ha detto che con l’economia in discesa in Cina (la borsa di Shanghai ha perso il 50% dall’inizio dell’anno) e nel mondo, con ogni probabilità ci saranno più rivolte di contadini e operai, sempre più violente. Per salvare la Cina dalla guerra civile sarà allora necessario mettere in atto gli ideali Olimpici per ora proclamati a parole: solidarietà, amicizia e pace.
08/08/2008