Pechino chiude ai turisti stranieri le zone abitate da tibetani
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La autorità cinesi hanno di nuovo interdetto ai turisti esteri ampie zone di Gansu, Sichuan e Qinghai dove risiedono comunità tibetane. Il divieto durerà almeno sino alla fine di marzo, per impedire a osservatori e giornalisti di essere presenti quando, tra un mese, cadranno gli anniversari della rivolta anticinese in Tibet del 10 marzo 1959 e delle proteste esplose il 14 marzo 2008 e represse nel sangue.
Agli stranieri è vietata la prefettura Gannan nel Gansu, dove sorge uno dei principali monasteri tibetani. Nel Sichuan è interdetta quasi l’intera prefettura di Ganzi, riaperta al turismo da appena due settimane. Nel 2008 le proteste esplose in Tibet si sono propagate tra i tibetani di queste altre province.
Ampie zone del Tibet sono tuttora chiuse al turismo, dal marzo 2008. Per entrare in Tibet i giornalisti debbono ottenere uno speciale permesso e molti ne sono stati espulsi d’improvviso nei giorni scorsi.
Jiang Yu, portavoce del ministero degli Esteri, dice che in Tibet la situazione è “stabile” e che queste restrizioni vogliono proprio “preservare la stabilità” della zona. E’ un dato di fatto che da gennaio le autorità hanno iniziato controlli sistematici in alberghi, ostelli, bar e altri luoghi per turisti in Tibet, con almeno 81 tibetani arrestati.
Secondo gruppi tibetani in esilio, rimane tuttora ignoto il destino di circa 1.200 tibetani arrestati nelle proteste del marzo-aprile 2008. Fanno nomi di tibetani torturati in prigione e di condanne all’ergastolo o ad anni di carcere per reati d’opinione e di almeno 120 morti durante le proteste.
(Nella foto: Norzin Wangmo, 30 anni, secondo il gruppo Free Tibet condannata a 5 anni di carcere per avere fatto telefonate e inviato email fuori del Tibet raccontando la situazione interna)