Pechino chiede che il mondo accetti per buona la sua verità sullo Xinjiang
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina ha chiamato l’ambasciatore nipponico a Pechino per protestare per la visita in Giappone di Rebiya Kadeer, capo del Congresso mondiale uiguri.
Il viceministro cinese agli Esteri Wu Dawei ha detto che Pechino “chiede al governo giapponese di prendere immediate effettive misure per impedire [alla Kadeer] di svolgere attività separatiste anticinesi in Giappone”. Fonti del governo giapponese hanno risposto che la donna non è stata invitata dal governo, né ha avuto rapporti con lo stesso.
A Tokyo la Kadeer ha sostenuto la causa degli uiguri accusando Pechino di violenze e persecuzioni e ha incontrato parlamentari del Partito liberale democratico che fa parte della coalizione di governo. La Cina dice che la donna è una pericolosa terrorista e separatista e che ha organizzato le proteste violente scoppiate il 5 luglio nello Xinjiang.
Ieri la Kadeer ha anche accusato le autorità cinesi della sparizione “di circa 10mila persone” in una sola notte a Urumqi, capitale dello Xinjiang. Oggi Hou Hanmin, portavoce del governo dello Xinjiang, lo ha negato, ribadendo le cifre ufficiali di circa 1700 arrestati per le proteste violente. Inoltre le autorità della provincia hanno diramato un elenco di 15 uiguri ricercati latitanti, accusati di avere avuto un “ruolo di rilievo” nelle proteste.
La Kadeer ha anche invitato le autorità cinesi “al dialogo” e ha chiesto alla comunità internazionale di premere su Pechino perché cerchi una soluzione pacifica del problema degli uiguri, minoranza nel loro stesso Paese e oggetto di sistematica persecuzione culturale e fisica.
La diplomazia cinese è attiva per attenuare l’effetto negativo delle proteste e della repressione in atto nello Xinjiang. L’ambasciatore Song Zhe, capo della missione cinese presso l’Unione europea, ha scritto sulla European Voice un articolo dal titolo: “Quanto l’Europa dovrebbe capire circa la violenza a Urumqi”, nel quale insiste che gli uiguri hanno fatto proteste violente e che la polizia ha dovuto tutelare la sicurezza di cittadini innocenti. Vengono indicati, come prova, molti commenti posti sui blog cinesi. Ma non viene spiegato che internet è stato oscurato nella regione poco dopo l’inizio delle proteste. Song celebra Pechino come esempio di crescita economica e di tolleranza e ricorda le 23mila moschee esistenti nel Paese. Ma non sono ricordati i frequenti divieti che colpiscono gli islamici, nello Xinjiang, con riguardo alla loro religione, lingua, cultura.