Pechino ammette di aver ucciso i tibetani in fuga
Il governo conferma che le guardie di stanza al confine con il Nepal hanno aperto il fuoco sul passo del Nangpa La ed ucciso almeno una persona, una monaca tibetana di 17 anni. La sparatoria sarebbe avvenuta per "legittima difesa".
Pechino (AsiaNews) Le autorità cinesi hanno ammesso ieri di aver sparato il 30 settembre scorso contro un gruppo di rifugiati tibetani che cercava di superare il confine con il Nepal e di averne ucciso "almeno uno". Lo afferma un comunicato dell'agenzia di stampa ufficiale Xinhua.
Le guardie hanno aperto il fuoco "per legittima difesa, dato che erano stati attaccati dai rifugiati che non hanno obbedito all'ordine di fermarsi". Gli agenti cinesi hanno sparato ad altre due persone: una di queste, ferita gravemente, sarebbe morta per mancanza di ossigeno. Le autorità cinesi "si sono poi prese cura in maniera adeguata degli altri rifugiati".
Il gruppo, composto da circa 70 pesone, ha incontrato le guardie di confine nei pressi del passo Nangpa La, vicino al monte Everest. Qui si è verificata la sparatoria: secondo il Centro per i rifugiati tibetani con base a Kathmandu solo 40 di loro sono riusciti ad arrivare in Nepal.
Non sono stati resi noti i nomi delle vittime o dei feriti. Secondo una ragazza presente alla sparatoria, una vittima sarebbe la monaca tibetana 17enne Kelsang Namtso. L'identità della vittima era stata confermata il 7 ottobre scorso ad AsiaNews anche dal lama Tsering, monaco buddista del monastero di Kushinagar, India settentrionale. Secondo il lama, l'altra vittima sarebbe un bambino.
Ancora oscuro il motivo di un'aggressione così violenta: secondo la Xinhua, le prime indagini sull'esodo dei rifugiati "punta il dito contro il traffico di esseri umani, che va sradicato".
Il portavoce del ministero cinese degli Esteri, Liu Jianchao, non aveva confermato né smentito la sparatoria nel corso degli ultimi incontri periodici con la stampa.
Costretto a rilasciare una dichiarazione, ieri ha detto: "Se gli articoli che parlano di una sparatoria sono accurati, le autorità indagheranno sulla questione. Per quanto riguarda la politica di sparare sui rifugiati, credo sia responsabilità della polizia di confine e dell'esercito garantire la pace e la sicurezza dei confini cinesi".
Il Dalai Lama, leader tibetano in esilio in India dal 1959 (anno dell'invasione cinese), ha più volte dichiarato la sua disponibilità ad aprire "colloqui ragionevoli" con Pechino, soprattutto per salvaguardare la vita di coloro che sono rimasti nella provincia.
Il governo cinese ha sempre respinto le offerte, e continua a trattare con estrema durezza chi cerca di lasciare il Paese a causa della repressione comunista. Il Centro sottolinea però che "da anni non si registravano più casi di repressione così violenta contro i rifugiati".