Pechino ammette che la polizia tortura i detenuti e annuncia rimedi
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Indagini a tappeto e a sorpresa in prigioni e centri di detenzione cinesi nei prossimi tre mesi, per scoprire e punire casi di maltrattamenti e torture. Il ministero della Pubblica sicurezza ha dato ieri la notizia, anche quale risposta alla morte di Li Qiaoming, ucciso il 24 febbraio in una prigione dello Yunnan da altri carcerati.
Li, detenuto in attesa di giudizio per taglio abusivo e furto di tronchi d’albero, è morto dopo due settimane di detenzione. All’inizio si è parlato di un incidente durante una partita di “rimpiattino” con altri detenuti nella quale era stato bendato e aveva battuto il capo. Ma le indagini hanno rivelato che è stato pestato a sangue da un altro carcerato, con probabilità per ordine di un boss locale.
La vicenda è stata ripresa dai media statali e ha molto preoccupato l’opinione pubblica. Nelle settimane successive sono emerse almeno altre tre morti sospette di carcerati per percosse o per maltrattamenti in Hunan, Hainan e Shaanxi dove è morto Xu Gengrong, studente di 19 anni dopo una settimana in carcere (nella foto). Il pubblico ministero ha poi detto che Xu è morto sotto tortura e ha arrestato 6 funzionari di sicurezza.
Ora tutti accusano la polizia di quanto già era noto: di maltrattare e torturare i detenuti, o anche di “tollerare” talvolta che gruppi di detenuti controllino le carceri.
Jiang Jianchu, viceprocuratore generale, ha ammesso che la tortura è spesso utilizzata durante le indagini e sui detenuti e che è talmente abituale tra la polizia che sarà difficile sradicarla.
I media commentano che la polizia fa un lavoro duro e mal pagato e spesso subisce immense pressioni per risolvere un caso, per cui usa la tortura per estorcere confessioni. La cronaca giudiziaria ha mostrato poi assoluzioni clamorose di imputati costretti a confessare sotto tortura: come l’uomo condannato a morte che sotto tortura aveva confessato l’omicidio della moglie scomparsa, che invece era fuggita di casa ed è riapparsa dopo anni.
Il ministro della Pubblica sicurezza parla di “rieducare la polizia” al rispetto della legge e dei diritti umani. Il parlamentare Zhou Guangquan suggerisce di togliere il controllo delle carceri alla polizia ordinaria e di affidarlo a un corpo sotto il controllo diretto del ministro della Giustizia.
Appena lo scorso novembre il Comitato Onu contro la tortura ha accusato la Cina di praticarla nelle carceri negli interrogatori dei dissidenti e per estorcere confessioni nei processi penali. Allora Pechino rifiutò con sdegno simili accuse.