Pechino, repressione continua contro internet, attivisti, petizioni
Il governo centrale continua la sua crociata contro la corruzione, ma i dirigenti locali non fermano espropri forzati e abusi contro la popolazione. Sempre più forte, inoltre, la censura dei mezzi di informazione. La stabilità sociale rimane la preoccupazione maggiore di Pechino.
Pechino (AsiaNews) – Lo scontro fra Pechino e Washington sulla denuncia pubblica del gigante informatico Google ha riportato l’attenzione sulla censura del governo cinese e sulle violenze che i governi locali compiono contro attivisti e manifestanti pacifici. Ma l’incognita delle proteste sociali è da tempo una delle peggiori minacce pendenti sul capo del regime comunista, che teme il malcontento popolare e fa di tutto per reprimerlo.
Sono decine di migliaia, ogni anno, gli scontri violenti fra polizia e cittadini che chiedono giustizia contro espropri forzati, corruzione, mancanza di libertà religiosa e censura dei mezzi di informazione. Il governo centrale, guidato da Hu Jintao, ha più volte sottolineato la necessità di portare avanti a livello locale un “buon governo”, unica strada per tenere calma la popolazione. Ma i dirigenti comunisti locali, spinti anche dal boom economico della Cina, non vengono fermati.
In maniera sempre più frequente, dunque, Pechino ordina mezzi di emergenza per cercare di frenare, almeno in parte, la progressione del fenomeno. Il 25 gennaio, ad esempio, il governo centrale ha ordinato la chiusura di 5mila uffici locali per “fermare la corruzione”. Inoltre, l’agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha citato un alto dirigente comunista, che ha chiesto di trattare “in maniera delicata” coloro che presentano nella capitale le proprie rimostranze. Sempre di più, infatti, la polizia decide di arrestarli o sgombrarli.
In ogni caso, le misure intraprese non sembrano essere sufficienti. Soltanto nel mese di gennaio, come riporta il Chinese Human Rights Defenders, si sono verificati decine di casi di violenze e soprusi contro la popolazione che chiede giustizia. Di seguito, ne riportiamo alcuni fra i più significativi.
Fra il 23 e il 24 gennaio, alcuni pirati informatici hanno attacco i siti internet di alcuni gruppi cinesi che operano per la difesa dei diritti umani e denunciano le violazioni sistematiche che avvengono nel Paese. Fra i siti colpiti c’erano quello del Chinese Human Rights Defenders, dell’Independent Chinese Pen, del New Century News e del Civil Rights and Livelihood Watch. Secondo alcuni esperti informatici di uno dei gruppi, l’attacco “è stato il più pesante mai subito”. Non si è riuscita a individuarne la fonte.
Il 28 gennaio, cinque cittadini di Liuzhou che si erano recati a Pechino per presentare le loro petizioni di protesta al governo centrale sono stati condannati a un anno di “riabilitazione tramite il lavoro” per “aver condotto in maniera anormale la propria richiesta”. I cinque sono Min Jihui, Zhong Ruihua, Zeng Zhaokuang, Li Chunfen e Huang Huiyue. La famiglia di Zhong spiega che i cinque si erano recati più volte nella capitale per chiedere giustizia dopo l’esproprio delle loro terre, cui era seguita la demolizione delle loro case.
La mattina del 24 gennaio, un altro gruppo di cittadini cinesi si è riunito davanti all’hotel Zhangbagou di Xian: lo scopo era quello di presentare i propri reclami alla Conferenza consultiva politica provinciale dello Shaanxi che era riunita nell’albergo. Un gruppo di agenti di pubblica sicurezza in borghese li ha circondati e ha fermato la veterana Zhang Dalian, costretta poi a entrare in una macchina. Da allora, della donna non si sa più nulla.
La sera del 22 gennaio, alcuni dipendenti comunali di una ditta di demolizioni hanno picchiato selvaggiamente tre degli abitanti del distretto di Jinjiang, nei pressi di Chengdu, provincia del Sichuan. Secondo i residenti, gli operai hanno iniziato a minacciarli e molestarli sin dallo scorso ottobre, nel tentativo di farli andare via dalle loro case. In occasione del pestaggio, i tre hanno chiamato la polizia che però non si è presentata. Due vicini di casa, che volevano aiutarli, sono stati a loro volta picchiati.
La mattina del 18 gennaio, la popolazione della contea di Pingle (nel Guangxi) si è ribellata a un esproprio forzato ed ha attaccato la polizia mandata sul posto per sgombrarla. Secondo testimoni oculari lo scontro ha prodotto il ferimento di oltre 20 abitanti, di cui cinque sono ancora ricoverati. Altri 30 sono stati arrestati. Per impedire che le notizie dello scontro arrivassero all’esterno, la polizia ha bloccato le strade che portano al villaggio e ha distrutto la macchina fotografica di uno degli abitanti, che voleva documentare l’assalto violento.
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