Pechino, “scende” l’inflazione, ma non è vero e la crisi è più vicina
di Paul Hong
L’Istituto nazionale di statistiche afferma oggi che l’inflazione è al 4,2%. Ma sul terreno vi sono segni di aumenti dei prezzi fino al 36%. Le spese delle province e del governo centrale in pranzi, ricevimenti, feste superano il budget nazionale dell’educazione. Piccole e medie imprese chiudono, mentre si chiede a imprenditori stranieri di dichiarare il falso sui possibili investimenti. Secondo Bloomberg la crisi è prossima; secondo Goldman Sachs va tutto bene.
Hong Kong (AsiaNews) – L’Istituto nazionale di statistiche (Ins) a Pechino ha annunciato oggi che l’inflazione in Cina è scesa al 4,2%, il valore più basso negli ultimi 14 mesi. Ma nel Paese nessuno vi crede perché tutti sperimentano l’alto livello dei prezzi al consumo, fino al 30% in più, molto più alti dei valori conclamati ufficialmente. In più, crescono le preoccupazioni per una crisi economica imminente per il gigante asiatico.
Secondo l’Ins – famoso per le sue cifre traballanti – i prezzi al consumo in novembre sono scesi a un’inflazione del 4,2, contro il 5,5 in ottobre e il 6,5 in luglio. Ma la situazione sul terreno è molto più grave. “In realtà, l'inflazione è alle stelle – afferma un businessman della costa -; prima, con 50 yuan al ristorante si poteva mangiare in 3 persone; oggi quella somma non basta nemmeno per una persona”.
Altri segnali gettano ombra sulle statistiche ufficiali: il prezzo della carne è salito del 36%; fino a 2 mesi fa, mezzo chilo di aglio costava 2 yuan; oggi con 0,5 yuan compri soltanto una testina (se si trova sul mercato!); vi sono famiglie di operai che ormai non riescono ad arrivare alla fine del mese.
La popolazione si lamenta perché mentre essa soffre la miseria, si è scoperto che le autorità provinciali e nazionali spendono per pranzi, ricevimenti, feste, ecc. una somma superiore al budget nazionale per l’educazione.
L’inflazione è cresciuta come conseguenza dei tentativi della Cina di non farsi colpire dalla crisi dei crediti subprime del 2008: il governo ha liberato prestiti per circa 4 mila miliardi di dollari Usa, ma questo ha generato un’inflazione galoppante, oltre che una serie di superinvestimenti e sovrapproduzione. Il risultato è che l’industria edilizia ha costruito case e uffici che sono vuoti e invenduti (almeno al 50%); industrie che hanno magazzini pieni di prodotti; province che hanno costruito infrastrutture – come le famose ferrovie per treni superveloci, aeroporti in zone sperdute, porti deserti – rimaste inutilizzate.
In seguito il governo centrale ha messo un freno ai prestiti. Ma ciò – insieme alla diminuzione dell’export, a causa della crisi globale – sta mettendo a dura prova molte industrie, soprattutto le piccole e medie. Già lo scorso ottobre, nel Zhejiang, un quinto delle 360 mila piccole e medie imprese locali è stato costretto a bloccare le attività per carenza di credito.
Allo stesso tempo, per salvare l’immagine di un Paese in crescita, i governi provinciali – indebitati – chiedono agli investitori stranieri di dichiarare “intenzioni di nuovi investimenti” in milioni di dollari Usa, che nelle statistiche appaiono come “nuovi investimenti”.
Di recente, il prof. Larry Lang ha affermato che la Cina è sull’orlo dell’abisso di una crisi profonda, (v.: 30/11/2011 Docente cinese: “La nostra economia è sull’orlo del baratro. Pechino sta barando”). Oggi, un’inchiesta di Bloomberg fra gli abbonati mostra che il 61% degli investitori contattati prevedono una crisi delle banche cinesi entro i prossimi cinque anni, con conseguente distruzione della fiducia della popolazione verso la sua leadership.
Fra gli abbonati di Bloomberg, in pochi anni è sceso l’entusiasmo. Nell’ottobre 2009, il 44% affermava che la Cina è uno dei posti migliori per investire; l’ultima ricerca mostra che la percentuale è scesa al 21%.
A tale scetticismo fanno da contrasto le previsioni di Goldman Sachs (Gs) e del Fondo monetario internazionale, secondo i quali la Cina supererà una crisi della crescita e frenerà l’inflazione. Secondo un rapporto di Gs, pubblicato all’inizio di dicembre, nel 2012 la Cina avrà una crescita dell’8,6% del Pil e dell’8,7% nel 2013.
Secondo l’Ins – famoso per le sue cifre traballanti – i prezzi al consumo in novembre sono scesi a un’inflazione del 4,2, contro il 5,5 in ottobre e il 6,5 in luglio. Ma la situazione sul terreno è molto più grave. “In realtà, l'inflazione è alle stelle – afferma un businessman della costa -; prima, con 50 yuan al ristorante si poteva mangiare in 3 persone; oggi quella somma non basta nemmeno per una persona”.
Altri segnali gettano ombra sulle statistiche ufficiali: il prezzo della carne è salito del 36%; fino a 2 mesi fa, mezzo chilo di aglio costava 2 yuan; oggi con 0,5 yuan compri soltanto una testina (se si trova sul mercato!); vi sono famiglie di operai che ormai non riescono ad arrivare alla fine del mese.
La popolazione si lamenta perché mentre essa soffre la miseria, si è scoperto che le autorità provinciali e nazionali spendono per pranzi, ricevimenti, feste, ecc. una somma superiore al budget nazionale per l’educazione.
L’inflazione è cresciuta come conseguenza dei tentativi della Cina di non farsi colpire dalla crisi dei crediti subprime del 2008: il governo ha liberato prestiti per circa 4 mila miliardi di dollari Usa, ma questo ha generato un’inflazione galoppante, oltre che una serie di superinvestimenti e sovrapproduzione. Il risultato è che l’industria edilizia ha costruito case e uffici che sono vuoti e invenduti (almeno al 50%); industrie che hanno magazzini pieni di prodotti; province che hanno costruito infrastrutture – come le famose ferrovie per treni superveloci, aeroporti in zone sperdute, porti deserti – rimaste inutilizzate.
In seguito il governo centrale ha messo un freno ai prestiti. Ma ciò – insieme alla diminuzione dell’export, a causa della crisi globale – sta mettendo a dura prova molte industrie, soprattutto le piccole e medie. Già lo scorso ottobre, nel Zhejiang, un quinto delle 360 mila piccole e medie imprese locali è stato costretto a bloccare le attività per carenza di credito.
Allo stesso tempo, per salvare l’immagine di un Paese in crescita, i governi provinciali – indebitati – chiedono agli investitori stranieri di dichiarare “intenzioni di nuovi investimenti” in milioni di dollari Usa, che nelle statistiche appaiono come “nuovi investimenti”.
Di recente, il prof. Larry Lang ha affermato che la Cina è sull’orlo dell’abisso di una crisi profonda, (v.: 30/11/2011 Docente cinese: “La nostra economia è sull’orlo del baratro. Pechino sta barando”). Oggi, un’inchiesta di Bloomberg fra gli abbonati mostra che il 61% degli investitori contattati prevedono una crisi delle banche cinesi entro i prossimi cinque anni, con conseguente distruzione della fiducia della popolazione verso la sua leadership.
Fra gli abbonati di Bloomberg, in pochi anni è sceso l’entusiasmo. Nell’ottobre 2009, il 44% affermava che la Cina è uno dei posti migliori per investire; l’ultima ricerca mostra che la percentuale è scesa al 21%.
A tale scetticismo fanno da contrasto le previsioni di Goldman Sachs (Gs) e del Fondo monetario internazionale, secondo i quali la Cina supererà una crisi della crescita e frenerà l’inflazione. Secondo un rapporto di Gs, pubblicato all’inizio di dicembre, nel 2012 la Cina avrà una crescita dell’8,6% del Pil e dell’8,7% nel 2013.
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