Paul Bhatti: diritti ai cristiani e dialogo coi musulmani, nel solco tracciato da Shahbaz
di Dario Salvi
Il consigliere speciale del premier avverte che provocare l’estremismo non è la via giusta per risolvere i problemi dei cristiani. Egli promuove una politica del dialogo, capace di restituire “unità” alla società civile e al Paese. Il sostegno della comunità internazionale e l’incontro con i leader islamici del mondo. La fede in Cristo, per raccogliere la vocazione del fratello.
Roma (AsiaNews) – Provocare l’estremismo islamico “non è utile alla causa dei cristiani” in Pakistan; per questo “ho intrapreso un percorso fedele alle mie idee e sensibilità”, con l’obiettivo di risolvere i problemi “nel profondo”, contrastando alla base “l’emarginazione sociale, economica ed educativa” delle minoranze. È quanto spiega ad AsiaNews Paul Bhatti, fratello del ministro per le Minoranze Shahbaz, ucciso a colpi di pistola dagli estremisti islamici il 2 marzo scorso. Oggi Paul, a lungo medico in Italia, è Consigliere speciale del Primo Ministro per le minoranze religiose – un ruolo che il presidente Zardari intendeva affidare “solo a un membro della famiglia Bhatti” – e, in questa veste, ha voluto promuovere una politica di approccio con la maggioranza musulmana improntato al dialogo, nel solco tracciato da Shahbaz: “abbiamo cambiato tattica rispetto a un passato – spiega Paul – in cui avvenivano più morti, uccisione e violenze, che soluzioni o proposte”. Una scelta che ha sollevato critiche e perplessità fra i leader cristiani, mentre cominciano a emergere i primi risultati sul fronte del dialogo interreligioso.
Il Consigliere del premier Gilani sconfessa quella che definisce “l’idea sbagliata”, secondo cui l’esecutivo “non sta facendo nulla” per risollevare la condizione delle minoranze del Paese, vittime di persecuzioni e violenze. “Ho seguito da vicino il lavoro di mio fratello, aiutandolo da un punto di vista economico – racconta Paul Bhatti – e quando ho visto l’eredità che ha lasciato dopo la morte, la lotta a difesa di emarginati e oppressi, ho capito che sarebbe stato un peccato enorme vanificare il lavoro di anni”. Egli non risparmia un monito verso quanti hanno sostenuto Shahbaz “per benefici personali” e che, una volta promossi a incarichi di potere, “si sono arricchiti, hanno costruito ville, mentre lui – chiarisce Paul – ha vissuto in una casa in affitto che, oggi, continuo a pagare io”. Shahbaz Bhatti ha ricoperto per due anni e mezzo, unico caso nella storia recente delle minoranze pakistane, il ruolo di ministro federale, ma il suo lavoro a favore dei non musulmani “continuava da 28 anni, da uomo libero, da leader di partito, senza cercare riconoscimenti o gratificazioni economiche o istituzionali”.
Parlando del proprio lavoro e dei rapporti con i musulmani moderati, Bhatti (nella foto con Benedetto XVI e l'imam di Lahore) sottolinea che pur con “qualche rammarico” esso infonde “tanta speranza, perché riusciamo a conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati”. Egli spiega che sono quattro i punti attorno ai quali ruota il programma per lo sviluppo delle minoranze: educazione per tutti; finanziamenti, risorse e lavoro per migliorare la situazione economica; dialogo interreligioso e interazione fra minoranze, in previsione di un inserimento all’interno della società a maggioranza musulmana; protezione e assistenza legale alle persone discriminate.
In questi giorni il consigliere speciale è in Italia, dopo aver partecipato a conferenze in Europa e incontrato leader di governo fra cui la cancelliera Angela Merkel, che ha rinnovato le “condoglianze per la morte di Shahbaz” e, a nome dell’esecutivo tedesco, manifestato il sostegno per il suo lavoro: “conti sempre su di noi”, questo è quanto ha confidato la Merkel a Paul Bhatti. Nei prossimi giorni egli rientrerà in Pakistan, per promuovere un lavoro che inizia a dare i suoi frutti, come emerge da un episodio avvenuto di recente: “a Gujranwala, nel Punjab, hanno accusato la comunità cristiana – racconta – di blasfemia per il rogo di un Corano. Sono andato di persona a verificare la situazione e, attraverso il dialogo con i leader islamici locali, si è scoperto che l’autore era un musulmano. Anche questo è un segno di cambiamento”.
Il dialogo interreligioso si sviluppa anche all’estero, attraverso una serie di incontri con capi musulmani di Turchia, Iran, Arabia Saudita, Egitto, durante i quali – aggiunge – è emerso un punto fermo: l’estremismo è sempre da condannare, perché uccidere in nome della fede è sbagliato. Un messaggio che egli vorrebbe “portare anche all’interno della società pakistana”. Il rammarico, invece, deriva dalla presa di coscienza che la battaglia di Shahbaz Bhatti a favore delle minoranze pakistane “è stata una lotta solitaria” e non ha un sostegno forte anche fra i leader cristiani. La politica pakistana è segnata da corruzione e lotta interna per il potere; anche le cariche governative e istituzionali possono trasformarsi in un mezzo per conquistare potere, prestigio e ricchezza personale. Al contrario, Paul Bhatti rivendica il principio “dell’unità fra cristiani e cittadini pakistani”, quale unica via per il riscatto delle minoranze e della nascita di una società che sappia perseguire gli obiettivi di pace, libertà personale e multiculturalismo.
Per continuare l’opera iniziata dal fratello Shahbaz, il consigliere per le Minoranze si è affidato a Cristo: “se non avessi fede – confida Paul ad AsiaNews – non avrei nemmeno iniziato questo cammino”. La famiglia Bhatti è permeata dalla fede cattolica, semplice ma profonda e radicata in tutti e cinque i fratelli grazie all’insegnamento dei genitori. “Recitavamo il rosario tutte le sere – aggiunge – e si andava a messa almeno quattro volte alla settimana. Ho studiato in un collegio di frati e questo mi ha permesso di crescere guardando a Cristo”. Tuttavia, conclude Paul Bhatti, la fede di Shahbaz “era molto più forte e solida della mia, pregava molto e ha vissuto la propria vita con una dedizione totale alla vocazione”.
Il Consigliere del premier Gilani sconfessa quella che definisce “l’idea sbagliata”, secondo cui l’esecutivo “non sta facendo nulla” per risollevare la condizione delle minoranze del Paese, vittime di persecuzioni e violenze. “Ho seguito da vicino il lavoro di mio fratello, aiutandolo da un punto di vista economico – racconta Paul Bhatti – e quando ho visto l’eredità che ha lasciato dopo la morte, la lotta a difesa di emarginati e oppressi, ho capito che sarebbe stato un peccato enorme vanificare il lavoro di anni”. Egli non risparmia un monito verso quanti hanno sostenuto Shahbaz “per benefici personali” e che, una volta promossi a incarichi di potere, “si sono arricchiti, hanno costruito ville, mentre lui – chiarisce Paul – ha vissuto in una casa in affitto che, oggi, continuo a pagare io”. Shahbaz Bhatti ha ricoperto per due anni e mezzo, unico caso nella storia recente delle minoranze pakistane, il ruolo di ministro federale, ma il suo lavoro a favore dei non musulmani “continuava da 28 anni, da uomo libero, da leader di partito, senza cercare riconoscimenti o gratificazioni economiche o istituzionali”.
Parlando del proprio lavoro e dei rapporti con i musulmani moderati, Bhatti (nella foto con Benedetto XVI e l'imam di Lahore) sottolinea che pur con “qualche rammarico” esso infonde “tanta speranza, perché riusciamo a conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati”. Egli spiega che sono quattro i punti attorno ai quali ruota il programma per lo sviluppo delle minoranze: educazione per tutti; finanziamenti, risorse e lavoro per migliorare la situazione economica; dialogo interreligioso e interazione fra minoranze, in previsione di un inserimento all’interno della società a maggioranza musulmana; protezione e assistenza legale alle persone discriminate.
In questi giorni il consigliere speciale è in Italia, dopo aver partecipato a conferenze in Europa e incontrato leader di governo fra cui la cancelliera Angela Merkel, che ha rinnovato le “condoglianze per la morte di Shahbaz” e, a nome dell’esecutivo tedesco, manifestato il sostegno per il suo lavoro: “conti sempre su di noi”, questo è quanto ha confidato la Merkel a Paul Bhatti. Nei prossimi giorni egli rientrerà in Pakistan, per promuovere un lavoro che inizia a dare i suoi frutti, come emerge da un episodio avvenuto di recente: “a Gujranwala, nel Punjab, hanno accusato la comunità cristiana – racconta – di blasfemia per il rogo di un Corano. Sono andato di persona a verificare la situazione e, attraverso il dialogo con i leader islamici locali, si è scoperto che l’autore era un musulmano. Anche questo è un segno di cambiamento”.
Il dialogo interreligioso si sviluppa anche all’estero, attraverso una serie di incontri con capi musulmani di Turchia, Iran, Arabia Saudita, Egitto, durante i quali – aggiunge – è emerso un punto fermo: l’estremismo è sempre da condannare, perché uccidere in nome della fede è sbagliato. Un messaggio che egli vorrebbe “portare anche all’interno della società pakistana”. Il rammarico, invece, deriva dalla presa di coscienza che la battaglia di Shahbaz Bhatti a favore delle minoranze pakistane “è stata una lotta solitaria” e non ha un sostegno forte anche fra i leader cristiani. La politica pakistana è segnata da corruzione e lotta interna per il potere; anche le cariche governative e istituzionali possono trasformarsi in un mezzo per conquistare potere, prestigio e ricchezza personale. Al contrario, Paul Bhatti rivendica il principio “dell’unità fra cristiani e cittadini pakistani”, quale unica via per il riscatto delle minoranze e della nascita di una società che sappia perseguire gli obiettivi di pace, libertà personale e multiculturalismo.
Per continuare l’opera iniziata dal fratello Shahbaz, il consigliere per le Minoranze si è affidato a Cristo: “se non avessi fede – confida Paul ad AsiaNews – non avrei nemmeno iniziato questo cammino”. La famiglia Bhatti è permeata dalla fede cattolica, semplice ma profonda e radicata in tutti e cinque i fratelli grazie all’insegnamento dei genitori. “Recitavamo il rosario tutte le sere – aggiunge – e si andava a messa almeno quattro volte alla settimana. Ho studiato in un collegio di frati e questo mi ha permesso di crescere guardando a Cristo”. Tuttavia, conclude Paul Bhatti, la fede di Shahbaz “era molto più forte e solida della mia, pregava molto e ha vissuto la propria vita con una dedizione totale alla vocazione”.
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