Patriarca caldeo: con la liberazione di Mosul, gli irakeni trovino pace e unità
I cristiani di Qaraqosh, nella piana di Ninive, hanno festeggiato con messe, balli e canti la liberazione della loro cittadina. Giunta al terzo giorno, prosegue l’offensiva dell’esercito irakeno e dei Peshmerga verso Mosul. Lo Stato islamico usa i civili come scudi umani. Mar Sako esorta gli irakeni a lavorare per la nascita di una “democrazia genuina e civile”.
Baghdad (AsiaNews) - Centinaia di cristiani fuggiti da Qaraqosh, a sud di Mosul, nell’estate del 2014 con l’ascesa dello Stato islamico (SI) hanno festeggiato ieri la liberazione del loro villaggio con canti, balli e messe. La comunità locale, fuggita con i soli vestiti addosso poco più di due anni fa per sfuggire alle violenze jihadiste, ha celebrato i successi militari finora ottenuti dall’esercito.
La mattina del 18 ottobre una coalizione composta da 30mila uomini, fra soldati irakeni e milizie Peshmerga curde, cui si uniscono forze tribali sunnite, hanno iniziato l’offensiva per la riconquista di Mosul, roccaforte jihadista in Iraq, e della piana di Ninive. Secondo quanto riferiscono fonti militari statunitensi, i combattenti di Daesh [acronimo arabo per lo SI] starebbero usando i civili come scudi umani, mentre i soldati arabi e curdi si avvicinano sempre più alla città.
A Mosul vi sarebbero ancora almeno 700mila persone intrappolate e impossibilitate a fuggire, ostaggio di 5mila jihadisti che lottano a difesa del loro fortino.
Secondo alcune fonti militari impegnate nell’offensiva la liberazione di Qaraqosh, uno dei più importanti villaggi della piana, 15 km circa a sud di Mosul, non sarebbe ancora completa; diversi jihadisti sarebbero ancora nascosti in alcune case e non intendono abbandonare le armi. Tuttavia, per i cristiani in esilio è già tempo di festeggiamenti (nella foto).
Sui social vicini alla comunità assiro-caldea in Iraq vengono rilanciate foto e immagini di festeggiamenti, con balli e canti; in questo filmato i festeggiamenti di un gruppo di profughi ospite di un centro di accoglienza a Erbil, nel Kurdistan irakeno. Altri ancora hanno voluto ricordare l’evento con una messa solenne (clicca qui per il video) a livello comunitario. Altre decine di bambini, donne e uomini si sono riuniti a pregare nella chiesa di Mar Shimon, sempre a Erbil.
Sull’offensiva in atto dell’esercito e il piano di liberazione di Mosul è intervenuto anche il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, il quale rinnova l’appello all’unità nazionale perché lo sforzo militare abbia successo. “Noi irakeni - ha sottolineato il primate caldeo - siamo un’unica famiglia a dispetto delle diverse affiliazioni”. Che l’offensiva, ha aggiunto, sia il viatico per la nascita di una “democrazia genuina e civile” che sia “rispettosa di tutti”.
Ecco, di seguito, l’appello di Mar Sako inviato ad AsiaNews:
Appello ai miei cari irakeni,
come tutti voi ben sapete, in queste ore sono in atto enormi sforzi in previsione della liberazione di Mosul - una delle più importanti e storiche città dell’Iraq - e della piana di Ninive. In questa occasione particolare vorrei rivolgermi, con parole che giungono dal profondo del mio cuore, a tutte le nostre famiglie irakene come fossero una sola; in particolare per quelle che provengono da Ninive, in riferimento alle nostre preoccupazioni e agli interessi comuni e in queste circostante così difficili e fuori dall’ordinario. In special modo, in riferimento alle voci di divisioni, alle posizioni radicali e alle fratture che cominciano ad emergere, che potrebbero anche essere di ostacolo alle operazioni per la liberazione [di Mosul e della piana di Ninive]!
Credo fermamente che tutti noi, in quanto “irakeni”, siamo un’unica famiglia, a dispetto delle nostre diverse affiliazioni. Tuttavia, in queste attuali circostanze la situazione richiede a tutti gli abitanti di Mosul, e ciò vale per tutti gli irakeni, di affrontare una responsabilità storica, nazionale e morale per la costruzione di relazioni interne ed esterne bilanciate ed equilibrate. Dobbiamo evitare di scambiarci accuse e di incolparci. Dobbiamo mettere la parola fine a tutte le dispute; mettere un freno agli egoismi e agli interessi personali e di una parte. Inoltre, dobbiamo mettere il bene comune del Paese e di tutti gli irakeni prima e al di sopra di ogni altra cosa.
Così facendo, saremo in grado di spianare il cammino verso una reale riconciliazione comunitaria, all’insegna dell’amore, della pace e della liberazione di tutte le terre occupate. In questo modo, tutti noi irakeni, possiamo recuperare un po’ di fiducia e di speranza per una soluzione rapida del nostro annoso dilemma, istituendo una democrazia civile e genuina, rispettosa di tutti in modo pacifico e civile.
Questo è il solo e unico modo per una piena ripresa del nostro Paese.
Al contempo, rivolgo un pressante appello alla comunità internazionale perché intraprenda iniziative concrete affinché l’Iraq e l’intera regione [mediorientale] possano ritrovare la loro sicurezza e la loro pace. Un successo di questa portata sarebbe davvero un trionfo per tutti e di beneficio per l’intera comunità internazionale.
In conclusione, vorrei rivolgere una preghiera: Che Dio ci protegga, allevi le nostre sofferenze, preservi la purezza della nostra umanità e vegli sull’unità del nostro amato Paese.
* Patriarca di Babilonia dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale irakena
18/10/2016 09:00
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