Pasqua ortodossa, Papa: Cristo doni una pace ‘oltraggiata dalla barbarie della guerra’
Il pensiero alle nazioni devastate dai conflitti, dall’Ucraina al Camerun. Nuovo appello per una tregua, quando “le armi prendono il posto della parola”. Al Regina Caeli il pontefice ha detto di avere “paura” dei cristiani perfetti, perché “l’avventura della fede” è fatta di “luci e ombre”. Nell’omelia della messa della Divina Misericordia il papa ricorda che le parole di Gesù non sono “di sfida”, perché comprende “le difficoltà” di Tommaso e “non lo tratta con durezza”.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Alle Chiese orientali cattoliche e ortodosse, alle comunità latine che celebrano la Pasqua secondo il calendario giuliano “porgo loro i più cari auguri” perché il Cristo risorto possa “colmare la speranza del cuore” e donare una pace “oltraggiata dalla barbarie della guerra”. É quanto ha affermato papa Francesco al termine della preghiera mariana del Regina Caeli, celebrata dallo studio del Palazzo apostolico affacciato su una piazza san Pietro gremita di fedeli. Oggi, ha ricordato il pontefice, “ricorrono i due mesi” dall’inizio della guerra lanciata dalla Russia in Ucraina, che “anziché fermarsi si è inasprita” ed è “triste” che proprio oggi, nel giorno della Pasqua, “si senta più il fragore delle armi” che il suono “delle campane che annunciano la resurrezione”. Come è triste, ha proseguito, che “le armi prendano sempre più il posto della parola”.
Rivolgendosi ai fedeli e chiedendo loro di pregare, il papa ha voluto poi rinnovare “l’appello per una tregua pasquale” che possa “lenire le sofferenze” della popolazione e “venire incontro” a Gesù risorto che dice “Pace a voi”. La pace “è possibile” e i “leader politici” devono ascoltare la voce della gente che non vuole “una escalation del conflitto”. In questo appello rinnovato alla pace, Francesco ha poi inviato un saluto ai partecipanti alla marcia straordinaria per la pace fra Perugia e Assisi che si tiene oggi, come pure “a quanti hanno dato vita ad analoghe manifestazioni” come i vescovi del Camerun, che hanno indetto un pellegrinaggio mariano per un Paese “amato” e anch’esso “lacerato” da cinque anni di conflitto.
Introducendo il Regina Caeli, il papa ha poi ricordato i protagonisti del Vangelo di oggi, Gesù e Tommaso, guardando “prima al discepolo e poi al maestro”. L’apostolo, spiega, “rappresenta tutti noi che non eravamo presenti nel cenacolo quando il Signore è apparso”. Anche noi, ammette, a volte “facciamo fatica” a credere nella risurrezione e “siamo come Tommaso”, ma di questo “non dobbiamo vergognarci”. Con la sua storia, osserva, “il Vangelo ci dice che il Signore non cerca cristiani perfetti” perché l’avventura della fede “è fatta di luci e di ombre”. Essa conosce tempo di “consolazione, di slancio e di entusiasmo, ma anche stanchezze, smarrimenti, dubbi e oscurità”.
Come Tommaso, non dobbiamo temere la “crisi” della fede, perché essa aiuta a “riconoscerci bisognosi” di toccare le piaghe di Cristo e fare esperienza del suo amore. Meglio una fede “imperfetta ma umile”, sottolinea, di una “fede forte ma presuntuosa, che rende orgogliosi e arroganti”. Di fronte alle incertezze di Tommaso, che sono quelle di tutti noi, Gesù “venne” perché “non si stanca di noi” e “quando le porte sono chiuse, torna”. “Torna sempre, e non con segni potenti - afferma il papa - che ci farebbero sentire piccoli e inadeguati, ma con le sue piaghe, segni del suo amore che ha sposato le nostre fragilità”. Egli torna “perché è paziente e misericordioso”, e apre “i cenacoli delle nostre paure e delle nostre incredulità”: ecco perché nei momenti difficili o di crisi non dobbiamo chiuderci in noi stessi, ma cercare Gesù e quelle piaghe che “ci hanno risanato”.
In precedenza, il pontefice nella basilica di San Pietro - dopo due anni di funzioni private a causa della pandemia di Covid-19 - ha presieduto la messa della domenica della Divina Misericordia, rilanciando il valore supremo della “pace”. Una funzione celebrata da mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione (a causa del problema persistente al ginocchio del papa), in un clima di guerra, in particolare quella scatenata dall’invasione russa in Ucraina che resta fonte di profonda preoccupazione.
La festa è stata istituita da Giovanni Paolo II nel 2000, durante la canonizzazione di suor Faustina Kowalska, mistica polacca che ebbe le visioni di Gesù nel 1931. Una ricorrenza che coincide con la domenica in Albis, in cui il progetto salvifico di Cristo giunge a compimento e permette di comprendere il mistero della redenzione, e nello stesso giorno in cui gli ortodossi celebrano la Pasqua. Nell’omelia il papa sottolinea che nel saluto “Pace a voi!”, egli abbraccia “ogni debolezza e sbaglio umano. Dono ulteriore del Signore, la misericordia è “anzitutto” fonte “di gioia; poi suscita il perdono; infine consola nella fatica”. “In primo luogo la misericordia di Dio dà gioia - afferma nell’omelia il pontefice - una gioia speciale, la gioia di sentirsi perdonati gratuitamente”. I discepoli in passato “avevano fatto scelte coraggiose, avevano seguito il Maestro con entusiasmo” ma alla fine “la paura aveva prevalso” lasciando solo Gesù “nel momento più tragico”. Essi vengono “distolti dai propri fallimenti e attirati dai suoi occhi, dove non c’è severità, ma misericordia”. Francesco ricorda come a ciascuno di noi sia capitato “di assomigliare ai discepoli della sera di Pasqua”, ma dopo “una caduta, un peccato, un fallimento” il Signore “fa di tutto per donarci la sua pace: attraverso una Confessione”.
Il Signore dice poi “una seconda volta” pace a voi, aggiungendo “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Ora i discepoli non solo “ricevono” misericordia, ma diventano essi stessi “dispensatori di quella stessa misericordia che hanno ricevuto” e non per “i loro meriti”, ma per “puro dono di grazia, che poggia però sulla loro esperienza di uomini perdonati”. Infine, Gesù ripete per la terza volta “Pace a voi!! quando riappare otto giorni dopo ai discepoli, per “confermare la fede faticosa di Tommaso” che vuole “vedere e toccare”, ma il Signore “non si scandalizza della sua incredulità, ma gli viene incontro”.
Per il papa le parole “metti qui il tuo dito e guarda le mie mani” non sono “parole di sfida, ma di misericordia” perché Gesù comprende “le difficoltà” di Tommaso e “non lo tratta con durezza”. “Poiché in Tommaso - conclude papa Francesco - c’è la storia di ogni credente: ci sono momenti difficili, in cui sembra che la vita smentisca la fede, in cui siamo in crisi e abbiamo bisogno di toccare e di vedere. Ma, come Tommaso, è proprio qui che riscopriamo il cuore del Signore, la sua misericordia”. Se ci prendiamo cura “delle piaghe del prossimo e vi riversiamo misericordia”, ha concluso il papa, rinasce “in noi una speranza nuova, che consola nella fatica […] Se abbiamo portato pace a un corpo ferito o a uno spirito affranto; se abbiamo dedicato un po’ di tempo ad ascoltare, accompagnare, consolare. Quando lo facciamo, incontriamo Gesù, che dagli occhi di chi è provato dalla vita ci guarda con misericordia e ci ripete: Pace a voi!”.