Partito comunista cinese: il controllo della ricchezza e delle grandi aziende statali
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – A fronte delle crescenti proteste sociali per ragioni economiche, la leadership cinese rilancia la volontà di realizzare una società equa e giusta. Il premier Wen Jiabao parla di “realizzare una società più equa e giusta” e il 12° Piano quinquennale 2011-2015 mira a una “crescita inclusiva”, che garantisca a ognuno la possibilità di beneficiare della crescita economica del Paese. Il noto economista Willy Lam osserva che questo rimarrà pura affermazione, se non si interviene sui privilegi delle 129 imprese statali di grandi dimensioni (State-Owned Enterprise, Soe) che assicurano ai dirigenti del Partito Comunista Cinese una gestione diretta della ricchezza.
Le 129 Soe controllano in modo monopolistico settori chiave come petrolio, gas, minerali, energia elettrica, servizi finanziari (bancari e assicurativi), telecomunicazioni, trasporti, oltre a difesa ed industria aerospaziale. Parecchie di loro sono quotate in borsa, ma di almeno la metà il governo centrale mantiene la maggioranza delle quote.
Le 129 Soe nel 2009 hanno avuto introiti per 21mila miliardi di yuan, pari al 61,7% del totale Prodotto interno lordo. Sempre nel 2009 hanno pagato tasse per 1.150 miliardi di yuan, pari a solo il 17% del totale nazionale. Il dato indica che chi dispone di maggiore ricchezza, paga anche minori imposte, in proporzione.
Lam, in un articolo pubblicato su China Brief della Jamestown Foundation, osserva che, in teoria, questi giganti economici sono sotto il diretto controllo statale, tramite la Commissione per l’Amministrazione e la Supervisione degli Assets dello Stato (Sasac) che ne nomina amministratori e dirigenti. Ma in pratica molti hanno un tale potere da controllarsi da soli, cooptando chi occupa i vertici e i posti di rilievo, scelti soprattutto tra membri eminenti del Pcc. Egli ricorda Li Xiaopeng, vicegovernatore della provincia dello Shanxi e figlio dell’ex premier Li Peng, capo della China Huaneng Group, leader nel settore energetico. Sua sorella Li Xiaolin è presidente della China Power International. Lo stipendio medio dei funzionari di queste ditte è almeno 5 volte maggiore di chi lavora nel settore privato, mentre sono elevati gli stipendi dei dirigenti.
Queste grandi imprese statali sono gestite come aziende private, pensando anzitutto a massimizzare i profitti. Le 129 Soe sono stimate avere avuto per il 2010 profitti per 1.000 miliardi di yuan, il 50% in più rispetto al 2009. Tra loro ci sono le 4 maggiori banche commerciali statali, che si calcola nel 1° semestre 2010 abbiano rastrellato 1,4 miliardi al giorno. Queste imprese non ridistribuiscono gli utili a vantaggio della popolazione. A chiederlo sono gli stessi organi del Pcc, come il Quotidiano dei giovani comunisti China Youth, che ha osservato che “con profitti di oltre 1.000 miliardi di yuan, queste ditte dovrebbero destinare gran parte dei loro guadagni a [favore della] popolazione”.
Esperti osservano che i profitti potrebbero essere molto maggiori, ma queste aziende non sono considerate né efficienti né capaci di operare innovazioni.
Huang Shuhe, vicepresidente del Sasac, a dicembre ha ammesso che “la loro capacità di produrre valore è ancora molto inferiore alle altre aziende di livello mondiale”.
Dopo diffuse proteste popolari, il Consiglio di Stato il 28 dicembre ha disposto che alcune delle Soe nei settori di massimo profitto (petrolio, gas, energia, tabacchi, telecomunicazioni) dal 2011 versino alle casse statali il 15% dei profitti netti (ora è il 10%). Quelle di altri settori (come costruzioni, trasporti, miniere, acciaio e commercio) verseranno il 10%, rispetto all’attuale 5%. Mentre si attende di vedere come lo Stato utilizzerà queste somme, esperti commentano che questo contenuto aumento non scalfisce le posizioni di potere delle Soe e che non si capisce perché i loro profitti non siano destinati a fini di pubblica utilità.
Analisti denunciano che i profitti non servono nemmeno a sviluppare l’innovazione, ma sono impegnati in manovre speculative, soprattutto per acquisti immobiliari. Così operano contro la politica del governo, che cerca di impedire fenomeni speculativi nel mercato immobiliare. Al punto che Pechino, nel marzo 2010, ha dovuto ordinare a 78 Soe di abbandonare il mercato immobiliare. Solo 9 risultano averlo fatto. A dicembre il Citic Group ha impegnato la cifra record di 6,3 miliardi di yuan per l’acquisto di un terreno a Pechino. Intanto a Pechino i prezzi degli immobili crescono rapidi, oltre le possibilità del ceto medio.
Shen Kunrong, esperto di Scienze sociali presso l’Università di Nanjing, indica che “l’esistenza di monopoli e la competizione diseguale”, a favore delle Soe che beneficiano di diffusi privilegi, è tra le principali cause della non equa distribuzione della ricchezza.
Li Yining, noto economista e professore della Beijing University, osserva che le Soe godono di continui privilegi, come la facilità con cui ottengono finanziamenti bancari, e così alterano la competizione con le aziende private. Nel 2009, due sole Soe, la China Mobile e la China National Petroleum Corp, hanno avuto guadagni per 218,55 miliardi di yuan: 600 milioni più dei profitti totali delle 500 maggiori ditte private.