Parlano le vittime di Hiroshima e Nagasaki per educare i giovani che non sanno
Tokyo (AsiaNews) - Il 6 agosto di 60 anni fa la prima bomba atomica ha incenerito la città di Hiroshima. Tre giorni dopo verso mezzogiorno la stessa tragica sorte toccava alla città di Nagasaki. "Il cuore ha ragioni che la mente non comprende", ha scritto Pascal. Ci sono avvenimenti, per esprimere i quali il linguaggio della mente, sia esso scientifico, filosofico o giuridico non solo è inadeguato, ma rischia di essere blasfemo. I bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki appartengono a questo tipo di eventi.
Gli hibakusha, i sopravvissuti
Durante una pluridecennale esperienza giapponese nessun avvenimento mi ha impressionato e continua a impressionarmi più delle celebrazioni commemorative del 6 e 9 agosto. In quei due giorni una chiara linea di demarcazione distingue Hiroshima e Nagasaki dal resto del Giappone e del mondo. I protagonisti in quelle due giornate commemorative non sono i politici, gli storici, i sociologi e neppure i rappresentanti del governo giapponese ma i 266 mila sopravvisuti (hibakusha) ai due bombardamenti atomici ancora segnati nel corpo, nel sangue o nel cuore dalle ferite di quella inumana tragedia. I sindaci delle due città, respingendo ogni tentazione di vittimismo, prestano loro la voce per offrire alla nazione e al mondo un messaggio che oserei definire religioso.
Quest'anno anche i migliori giornali giapponesi, messo da parte il saccente linguaggio dell'analisi storica, si preoccupano di contribuire all'educazione delle nuove generazioni. "I sopravvissuti devono raccontare la loro esperienza". Così il prestigioso quotidiano Asahi shinbun riassume la tesi di un suo editoriale dal titolo "60 anni dopo la bomba-A". L'esortazione convince e commuove, perché sostanziata dalle relazioni di una testimonianza e di un'iniziativa.
La testimonianza è offerta dal signor Junichiro Nagai (74 anni) che solo da tre anni parla pubblicamente delle sue esperienze di 60 anni fa. La mattina del 6 agosto 1945 Nagai, allora studente di terza media, stava lavorando in una fabbrica alla periferia della città di Hiroshima; improvvisamente un bagliore intenso e una raffica di vento simile a un tifone lo sbalordì. Quella sera, ritornato a casa, invano attese il rientro della sorella di 13 anni, studentessa nella prima scuola municipale. Due giorni dopo i genitori ne hanno trovato i resti carbonizzati tra le macerie di un edificio presso il centro della città: solo il nome "Mieko Nagai", ancora visibile su un brandello della camicetta bianca, ha permesso l'identificazione delle ceneri.
Per decenni Nagai, che ora abita a Tokyo, non ha fatto parola di quella terribile esperienza con nessuno, neppure con la moglie e con i due figli. Era come soggiogato da un incoercibile senso di colpa per essere sopravvissuto. Quella mattina molti suoi coetanei erano stati uccisi dalla bomba. Si sentiva anche responsabile della morte della sorellina, perché era stato lui ad esortarla a continuare negli studi. Inoltre temeva il tacito stigma sociale che colpisce chi è stato esposto alle micidiali radiazioni atomiche. Il parlarne avrebbe potuto influire negativamente sul futuro dei figli, professione e matrimonio.
Ma tre anni fa ha cambiato atteggiamento perchè un giorno, ordinando gli oggetti lasciatigli da suo padre, ha trovato un quadernetto dal titolo "Genbaku to Chojo" ("la bomba atomica e mia figlia"). I sentimenti di quel cuore di padre, messi in iscritto 44 anni dopo l'avvenimento, erano di un'eloquenza straordinaria, che andava fatta conoscere ai bambini della terza generazione. Da quel giorno Nagai assieme ad altri sopravvissuti passa da una scuola all'altra per educare i ragazzi attraverso il "linguaggio del cuore", con ottimi risultati.
I giovani distratti e la scuola
"Io ha la medesima età che aveva il signor Nagai quando ritornato a casa attese invano il ritorno della sorellina. Deve essere stato uno shock terribile", ha detto uno studente dopo il racconto. Iniziative pedagogiche di questo tipo sono urgenti, nota l'editorialista. Da un'inchiesta curata cinque anni fa a Hiroshima risulta che il 50% dei ragazzi delle elementari non sa quando la sua città è stata bombardata. Alcuni studenti di scuole superiori hanno detto che trovano noiose le lezioni sulla pace. Due anni fa studenti universitari sono giunti al punto di bruciare le "gru di carta" che a migliaia pendono dagli alberi del "giardino della pace" come offerte votive agli spiriti dei bambini periti nell'incendio atomico!
"Quando si sente parlare della bomba atomica, scrive l'editorialista, il fungo atomico è l'immagine che viene subito in mente a molti. È invece molto difficile immaginare quanto è avvenuto sotto quel maledetto fungo". Perché una memoria così importante non s'indebolisca con il passare degli anni si stanno prendendo valide iniziative. L'anno scorso la facoltà di studi internazionali dell'Università Meiji a Yohohama ha iniziato un corso dal titolo "Hiroshima-Nagasaki" sul tema degli armamenti nucleari. Anche alcuni hibakusha sono invitati a tenere conferenze. Il professor Takao Takahara, organizzatore del programma, ha detto: "L'ascoltare di prima mano i racconti dei sopravvissuti alla bomba atomica permette agli studenti di condividerne le esperienze. Poiché i giovani di oggi sono molto sensibili, non è difficile renderli coscienti di quella realtà".
Per oltre 50 anni il popolo giapponese preoccupato prima della sopravvivenza e poi dello sviluppo economico, ha delegato ai politici e ai leader governativi la responsabilità della soluzione di problemi umani come quelli della pace e dell'educazione morale delle nuove generazioni; le iniziative e le riflessioni che emergono in occasione della commemorazione del 60esimo anniversario dello sganciamento della bomba-A sembrano indicare una fondamenale inversione di tendenza.