Papa: tutelare l’acqua, bene di tutti, valorizzandone anche i significati culturali e religiosi
La Parola di Dio “alimenta una speranza che si traduce concretamente in condivisione, in servizio reciproco”. “La nostra speranza non si fonda sulle nostre capacità e sulle nostre forze, ma sul sostegno di Dio e sulla fedeltà del suo amore, cioè sulla forza di Dio e la consolazione di Dio”. “Quella dei migranti è la tragedia più grande dopo la Seconda guerra mondiale”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Tutelare l’acqua come bene di tutti, valorizzando anche i suoi significati culturali e religiosi”. E’ il monito che papa Francesco ha rivolto oggi, durante l’udienza generale, nel giorno nel quale si celebra la Giornata mondiale dell’acqua, istituita 25 anni fa dalle Nazioni Unite. Il Papa l’ha fatto salutando i partecipanti al convegno sul tema: “Watershed: Replenishing Water Values for a Thirsty World”, promosso dal Pontificio consiglio per la cultura e dal Capitolo argentino del Club di Roma, incoraggiati, ha aggiunto, nello “sforzo nel campo educativo, con proposte rivolte ai bambini e ai giovani”.
Nei saluti agli italiani, inoltre, Francesco, rivolgendosi ai partecipanti all’incontro per direttori Migrantes li ha incoraggiati “a proseguire nell’impegno per l’accoglienza e l’ospitalità dei profughi e dei rifugiati, favorendo la loro integrazione, tenendo conto dei diritti e dei doveri reciproci per chi accoglie e chi è accolto”. “Quella dei migranti – è tornato ad affermare - è la tragedia più grande dopo la Seconda guerra mondiale”.
In precedenza, nel discorso rivolto alle 20mila persone presenti in piazza san Pietro per l’udienza generale, proseguendo il ciclo di catechesi sulla speranza cristiana ha centrato l’attenzione sulla Parola di Dio che “alimenta una speranza che si traduce concretamente in condivisione, in servizio reciproco. Perché anche chi è ‘forte’ si trova prima o poi a sperimentare la fragilità e ad avere bisogno del conforto degli altri; e viceversa nella debolezza si può sempre offrire un sorriso o una mano al fratello in difficoltà”. A dare forza, in realtà, è Gesù e “tutti abbiamo bisogno di essere caricati sulle spalle dal Buon Pastore e di sentirci avvolti dal suo sguardo tenero e premuroso”.
“Già da alcune settimane – ha detto - l’apostolo Paolo ci sta aiutando a comprendere meglio in che cosa consiste la speranza cristiana. E abbiamo detto che non era un ottimismo, no: era un’altra cosa. E l’apostolo ci aiuta a capire cosa è quello. Oggi lo fa accostandola a due atteggiamenti quanto mai importanti per la nostra vita e la nostra esperienza di fede: la «perseveranza» e la «consolazione». Nel passo della Lettera ai Romani che abbiamo appena ascoltato vengono citate due volte: prima in riferimento alle Scritture e poi a Dio stesso. Qual è il loro significato più profondo, più vero? E in che modo fanno luce sulla realtà della speranza? Questi due atteggiamenti: la perseveranza e la consolazione”.
“La perseveranza - ha proseguito - potremmo definirla pure come pazienza: è la capacità di sopportare, portare sopra le spalle, di rimanere fedeli, anche quando il peso sembra diventare troppo grande, insostenibile, e saremmo tentati di giudicare negativamente e di abbandonare tutto e tutti. La consolazione, invece, è la grazia di saper cogliere e mostrare in ogni situazione, anche in quelle maggiormente segnate dalla delusione e dalla sofferenza, la presenza e l’azione compassionevole di Dio. Ora, san Paolo ci ricorda che la perseveranza e la consolazione ci vengono trasmesse in modo particolare dalle Scritture, cioè dalla Bibbia. Infatti la Parola di Dio, in primo luogo, ci porta a volgere lo sguardo a Gesù, a conoscerlo meglio e a conformarci a Lui, ad assomigliare sempre di più a Lui. In secondo luogo, la Parola ci rivela che il Signore è davvero «il Dio della perseveranza e della consolazione», che rimane sempre fedele al suo amore per noi, cioè che è perseverante nell’amore con noi, non si stanca di amarci: no! E’ perseverante: sempre ci ama! E anche si prende cura di noi, ricoprendo le nostre ferite con la carezza della sua bontà e della sua misericordia, cioè ci consola. Anche, non si stanca di consolarci”.
“In tale prospettiva, si comprende anche l’affermazione iniziale dell’Apostolo: «Noi, che siamo i forti, abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi». Questa espressione «noi che siamo i forti» potrebbe sembrare presuntuosa, ma nella logica del Vangelo sappiamo che non è così, anzi, è proprio il contrario perché la nostra forza non viene da noi, ma dal Signore. Chi sperimenta nella propria vita l’amore fedele di Dio e la sua consolazione è in grado di stare vicino ai fratelli più deboli e farsi carico delle loro fragilità”.
“Se noi stiamo vicini al Signore, avremo quella fortezza per essere vicini ai più deboli, ai più bisognosi e consolare loro e dare forza a loro. Questo è quello che significa. Questo noi possiamo farlo senza autocompiacimento, ma sentendosi semplicemente come un ‘canale’ che trasmette i doni del Signore; e così diventa concretamente un ‘seminatore’ di speranza. E’ questo che il Signore ci chiede a noi, con quella fortezza e quella capacità di consolare e essere seminatori di speranza. E seminare speranza ci vuole, oggi, eh? Non è facile …”
“Il frutto di questo stile di vita non è una comunità in cui alcuni sono di ‘serie A’, cioè i forti, e altri di ‘serie B’, cioè i deboli. Il frutto invece è, come dice Paolo, «avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù». La Parola di Dio alimenta una speranza che si traduce concretamente in condivisione, in servizio reciproco. Perché anche chi è ‘forte’ si trova prima o poi a sperimentare la fragilità e ad avere bisogno del conforto degli altri; e viceversa nella debolezza si può sempre offrire un sorriso o una mano al fratello in difficoltà. Ed è una comunità così che ‘con un solo animo e una voce sola rende gloria a Dio’ . Ma tutto questo è possibile se si mette al centro Cristo, la sua Parola, perché Lui è il ‘forte’, Lui è quello che ci dà la fortezza, che ci dà la pazienza, che ci dà la speranza, che ci dà la consolazione. Lui è il ‘fratello forte’ che si prende cura di ognuno di noi: tutti infatti abbiamo bisogno di essere caricati sulle spalle dal Buon Pastore e di sentirci avvolti dal suo sguardo tenero e premuroso”.
“Cari amici – ha concluso - non ringrazieremo mai abbastanza Dio per il dono della sua Parola, che si rende presente nelle Scritture. È lì che il Padre del Signore nostro Gesù Cristo si rivela come «Dio della perseveranza e della consolazione». Ed è lì che diventiamo consapevoli di come la nostra speranza non si fondi sulle nostre capacità e sulle nostre forze, ma sul sostegno di Dio e sulla fedeltà del suo amore, cioè sulla forza di Dio e la consolazione di Dio”.