Papa: se i fedeli lo vogliono, possono avere la messa “tridentina”
Con un motu proprio Benedetto XVI stabilisce che le attuali norme per la celebrazione sono di uso “ordinario”, ma che è possibile l’uso “straordinario” del messale di San Pio V. La preoccupazione per la ricomposizione dell’unità della Chiesa rotta dai tradizionalisti di mons. Lefebvre in una lettera a tutti i vescovi del mondo.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Chi vorrà, avrà il diritto di avere la messa in latino, la celebrazione spalle ai fedeli e tutte quelle formule “antiche” che erano state sostituite, ma non abrogate, dal messale di Paolo VI che, nel 1970, aveva accolto le indicazioni del Concilio Vaticano II in materia liturgica. E’ l’effetto del motu proprio “Summorum Pontificum” , ossia della norma, stabilita da Benedetto XVI, “sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970”, reso noto oggi.
Il motu proprio è promulgato con esplicito riferimento alla ricomposizione dell’unità ecclesiale rotta dallo scisma di mons. Marcel Lefebvre, per la quale “si ha continuamente l’impressione che, in momenti critici in cui la divisione stava nascendo, non è stato fatto il sufficiente da parte dei responsabili della Chiesa per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità; si ha l’impressione che le omissioni nella Chiesa abbiano avuto una loro parte di colpa nel fatto che queste divisioni si siano potute consolidare”. La frase – scritta oggi da colui che, da responsabile del dicastero per la dottrina delle fede, condusse le inutili trattative con il vescovo tradizionalista – è contenuta in una “Lettera a tutti i vescovi del mondo” che il Papa ha voluto allegare al documento.
Il motu proprio, dunque, al di là delle formule giuridiche, afferma che da ora nella Chiesa cattolica la Messa cosiddetta tridentina, nella forma approvata da Giovanni XXIII nel 1962, ha piena cittadinanza. All’art. 1 del documento, infatti, si legge che “Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico”.
Si tratta insomma di “due usi dell’unico rito romano” e per la celebrazione “secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario”.
Nella stessa logica, “nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962”. (Art. 5. § 1), “anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi”, (Art. 5. § 3). Gli stessi fedeli, se non avranno “soddisfazione” dal parroco, possono rivolgersi al vescovo che “è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio” (art. 7).
Nella lettera ai vescovi, Benedetto XVI in primo luogo definisce “infondato” il “timore” che “qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio”. Il messale “pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica”.
Quanto al messale del 1962, esso, ricorda il Papa, non è mai stato abrogato ed inoltre “non pochi rimanevano fortemente legati a questo uso del Rito romano che, fin dall’infanzia, era per loro diventato familiare”.
In proposito, Benedetto XVI afferma che “la fedeltà al Messale antico divenne un contrassegno esterno” del movimento guidato da mons. Lefebvre, mentre “le ragioni di questa spaccatura, che qui nasceva, si trovavano però più in profondità. Molte persone, che accettavano chiaramente il carattere vincolante del Concilio Vaticano II e che erano fedeli al Papa e ai Vescovi, desideravano tuttavia anche ritrovare la forma, a loro cara, della sacra Liturgia; questo avvenne anzitutto perché in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile. Parlo per esperienza, perché ho vissuto anch’io quel periodo con tutte le sue attese e confusioni. E ho visto quanto profondamente siano state ferite, dalle deformazioni arbitrarie della Liturgia, persone che erano totalmente radicate nella fede della Chiesa”.
Quanto allo scisma di mons. Lefebvre, malgrado i tentativi di Giovanni Paolo II, che nel 1988 concedette l’uso del messale del 1962, affidando la concessione “alla generosità dei vescovi”, la “riconciliazione” con i tradizionalisti “purtoppo finora non è riuscita”.
Il Papa, in secondo luogo, afferma di non ritenere “realmente fondato” il timore che l’uso dell’antico messale possa produrre “divisoni o ddirittura spaccature” tra i fedeli, anche perché esso richiede “una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina” che “non si trovano tanto di frequente”.
Ultimo tema affrontato è la preoccupazione per l’autorità del vescovo, avanzata ad esempio in Francia, con l’idea che egli sia in pratica costretto ad accettare il messale tridentino. “Nulla – scrive in proposito Benedetto XVI - si toglie quindi all’autorità del Vescovo il cui ruolo, comunque, rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga in pace e serenità. Se dovesse nascere qualche problema che il parroco non possa risolvere, l’Ordinario locale potrà sempre intervenire, in piena armonia, però, con quanto stabilito dalle nuove norme del Motu Proprio”. (FP)
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