Papa: possa la Chiesa seguire la missione evangelizzatrice di Giovanni Paolo II
A tre anni dalla morte di papa Wojtyla, Benedetto XVI celebrando la messa, ha rievocato il “non abbiate paura” che papa Wojtyla rivolse alla Chiesa e all’umanità ed il suo affidarsi alla Divina misericordia, unica fonte di speranza per l’uomo.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Possa la Chiesa, seguendo “gli insegnamenti e gli esempi” di Giovanni Paolo II, “proseguire fedelmente e senza compromessi la sua missione evangelizzatrice, diffondendo senza stancarsi l’amore misericordioso di Cristo, sorgente di vera pace per il mondo intero”. Con queste parole - ad un tempo una preghiera, un impegno ed un auspicio - Benedetto XVI ha espresso il perdurante rapporto della comunità cristiana e del mondo di oggi con il Papa scomparso, celebrando a tre anni dalla morte la messa in Piazza san Pietro.
Ad ascoltarlo, almeno 40mila persone, quasi la stessa “grande folla in preghiera” ricordata da Benedetto XVI che, la sera del 2 aprile 2005, gremiva, in preghiera, la piazza e che accolse in un impressonante silenzio la notiza della morte di papa Wojtyla. Ad evocare quei momenti, anche la scelta di Benedetto XVI di entrare a piedi in piazza San Pietro, passando da quel Portono di bronzo da dove il 5 aprile uscì sulla piazza per l’ultima volta il corpo di Giovanni Paolo II. “Per diversi giorni la Basilica Vaticana e questa Piazza – ricorda oggi papa Ratzinger - sono state davvero il cuore del mondo. Un fiume ininterrotto di pellegrini rese omaggio alla salma del venerato Pontefice e i suoi funerali segnarono un’ulteriore testimonianza della stima e dell’affetto, che egli aveva conquistato nell’animo di tantissimi credenti e di persone d’ogni parte della terra”.
Non c’è, oggi, il vento che il giorno dei funerali, celebrati dall’allora card. Ratzinger, scompigliò la piazza, ma ci sono decine e decine di cardinali e vescovi - in primo luogo il card. Stanislaw Dziwisz, colui che l’ha seguito come segretario fin da quando era arcivescovo di Cracovia e che ora ne occupa la cattedra – e, accanto all’altare, molti di coloro che, in ruoli diversi, ne accompagnarono il lunghissimo pontificato. Dalle suore polacche che lo accudivano agli uomini che ne garantivano la sicurezza. Ci sono bandiere polacche e striscioni di Cracovia, Wadowice e altre città. Qualche cartello rievoca il “Santo subito”, ma Benedetto XVI non fa riferimenti alla causa di beatifcazione.
“Non possiamo dimenticare”, dice. E ci sono ricordi personali di colui che per 23 anni gli fu a fianco come massimo responsabile dottrinale della Curia, nel ricordare l’estraniarsi da tutto che caratterizzava la preghiera di papa Wojtyla, quando ne chiede l’intrcessione per chi è stato chiamato a succedergli e quando rievoca il “non abbiate paura” che Giovanni Paolo II fece risuonare in questa stessa piazza, il 22 ottobre 1979, durante la cerimonia d’inizio del pontificato. Quelle parole che, ha ricordato Benedetto XVI, l’angelo della risurrezione rivolse alle donne presso il sepolcro vuoto, “sono diventate una specie di motto sulle labbra del Papa Giovanni Paolo II, fin dal solenne inizio del suo ministero petrino. Le ha ripetute più volte alla Chiesa e all’umanità in cammino verso il 2000, e poi attraverso quello storico traguardo e ancora oltre, all’alba del terzo millennio. Le ha pronunciate sempre con inflessibile fermezza, dapprima brandendo il bastone pastorale culminante nella Croce e poi, quando le energie fisiche andavano scemando, quasi aggrappandosi ad esso, fino a quell’ultimo Venerdì Santo, in cui partecipò alla Via Crucis dalla Cappella privata stringendo tra le braccia la Croce”.
“Non possiamo dimenticare quella sua ultima e silenziosa testimonianza di amore a Gesù. Anche quella eloquente scena di umana sofferenza e di fede, in quell’ultimo Venerdì Santo, indicava ai credenti e al mondo il segreto di tutta la vita cristiana. Il suo ‘Non abbiate paura’ non era fondato sulle forze umane, né sui successi ottenuti, ma solamente sulla Parola di Dio, sulla Croce e sulla Risurrezione di Cristo. Via via che egli veniva spogliato di tutto, da ultimo anche della stessa parola, questo affidamento a Cristo è apparso con crescente evidenza. Come accadde a Gesù, pure per Giovanni Paolo II alla fine le parole hanno lasciato il posto all’estremo sacrificio, al dono di sé. E la morte è stata il sigillo di un’esistenza tutta donata a Cristo, a Lui conformata anche fisicamente nei tratti della sofferenza e dell’abbandono fiducioso nella braccia del Padre celeste. ‘Lasciate che vada al Padre’, queste – testimonia chi gli fu vicino – furono le sue ultime parole, a compimento di una vita totalmente protesa a conoscere e contemplare il volto del Signore”.
Benedetto XVI ha poi ricordato che oggi ha inizio il primo congresso mondiale sulla Divina Misericordia, per sottolineare come “la misericordia di Dio – lo disse egli stesso – è una chiave di lettura privilegiata del suo pontificato. Egli voleva che il messaggio dell’amore misericordioso di Dio raggiungesse tutti gli uomini ed esortava i fedeli ad esserne testimoni (cfr Omelia a Cracovia-Łagiewniki, 18.8.2002). Per questo volle elevare all’onore degli altari suor Faustina Kowalska, umile Suora divenuta per un misterioso disegno divino messaggera profetica della Divina Misericordia. Il servo di Dio Giovanni Paolo II aveva conosciuto e vissuto personalmente le immani tragedie del XX secolo, e per molto tempo si domandò che cosa potesse arginare la marea del male. La risposta non poteva trovarsi che nell’amore di Dio. Solo la Divina Misericordia è infatti in grado di porre un limite al male; solo l’amore onnipotente di Dio può sconfiggere la prepotenza dei malvagi e il potere distruttivo dell’egoismo e dell’odio. Per questo, durante l’ultima visita in Polonia, tornando nella sua terra natale ebbe a dire: ‘Non c’è altra fonte di speranza per l’uomo che la misericordia di Dio’ “. (FP)
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02/04/2006
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