13/05/2023, 13.46
VATICANO
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Papa: 'neutralità positiva' della Santa Sede nei conflitti non è neutralità etica

Nel giorno in cui è atteso in Vaticano il presidente Ucraino Zelensky ai nuovi ambasciatori ricevuti per le lettere credenziali Francesco è tornato a parlare della "terza guerra mondiale a pezzi" e dell'impegno della diplomazia pontificia per la difesa della dignità di ogni persone e la promzione della fraternità tra i popoli. Un pensiero "all'amato popolo siriano" provato dal terremoto e dal lungo conflitto.

Città del Vaticano (AsiaNews) – La Santa Sede si adopera per contribuire alla risoluzione dei conflitti attraverso l’esercizio di una “neutralità positiva”, che non significa però “neutralità etica”, “soprattutto di fronte alle sofferenze umane”. Nel giorno dell’atteso incontro con il presidente ucraina Volodymyr Zelensky - atteso in Vaticano per questo pomeriggio - papa Francesco è tornato già questa mattina a rilanciare l’urgenza dell’impegno per la pace nel contesto di quella che è tornato ancora una volta a definire la “terza guerra mondiale a pezzi”.

L’occasione è stata l’udienza ai nuovi ambasciatori di Islanda, Bangladesh, Siria, Gambia e Kazakistan in occasione della presentazione delle lettere credenziali. “Se guardiamo attentamente alla situazione attuale del mondo - ha detto il pontefice incontrandoli nella Sala Clementina - anche uno sguardo superficiale potrebbe lasciarci turbati e scoraggiati. Pensiamo a molti luoghi come il Sudan, la Repubblica Democratica del Congo, il Myanmar, il Libano e Gerusalemme, che stanno affrontando scontri e disordini. Haiti continua a vivere una grave crisi sociale, economica e umanitaria. C’è poi, naturalmente, la guerra in corso in Ucraina, che ha portato sofferenza e morte indicibili. Inoltre, vediamo aumentare il flusso di migrazioni forzate, gli effetti del cambiamento climatico e un gran numero di nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo che vivono ancora in povertà a causa della mancanza di accesso all’acqua potabile, al cibo, all’assistenza sanitaria di base, all’istruzione e a un lavoro dignitoso. C’è, senza dubbio, un crescente squilibrio nel sistema economico globale”.

“Quando impareremo dalla storia - si è chiesto - che le vie della violenza, dell’oppressione e dell’ambizione sfrenata di conquistare terre non giovano al bene comune? Quando impareremo che investire nel benessere delle persone è sempre meglio che spendere risorse nella costruzione di armi letali? Quando impareremo che le questioni sociali, economiche e di sicurezza sono tutte collegate una con l’altra? Quando impareremo che siamo un’unica famiglia umana, che può veramente prosperare solo quando tutti i suoi membri sono rispettati, curati e capaci di offrire il proprio contribuito in maniera originale?”.

Agli ambasciatori il papa ha indicato l’importanza del compito che sono chiamati a svolgere in questo senso. ”Persino l’apostolo Paolo ha usato questo termine per descrivere gli annunciatori di Gesù Cristo (cfr 2 Cor 5,20)”, ha ricordato. “Come uomo o donna di dialogo - ha aggiunto -. costruttore di ponti, l’ambasciatore può essere una figura di speranza. Speranza nella bontà ultima dell’umanità. Speranza che un terreno comune sia possibile perché siamo tutti parte della famiglia umana. Speranza che non sia mai detta l’ultima parola per evitare un conflitto o risolverlo pacificamente. Speranza che la pace non sia un sogno irrealizzabile”.

Nel contesto attuale - ha riconosciuto Francesco - non si tratta di un compito facile: “La voce della ragione e gli appelli alla pace spesso cadono nel vuoto”, ha commentato. Ma proprio a tener viva la speranza mira anche l’azione diplomatica della Santa Sede che “in conformità alla propria natura e alla sua particolare missione, si impegna a proteggere l’inviolabile dignità di ogni persona, a promuovere il bene comune e a favorire la fraternità umana tra tutti i popoli”.

Salutando, infine ad uno ad uno i nuovi ambasciatori, il papa ha rivolto un pensiero particolare “all’amato popolo siriano, che si sta ancora riprendendo dal recente violento terremoto, tra le continue sofferenze causate dal conflitto armato”.

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