04/11/2019, 12.33
VATICANO
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Papa: le università cattoliche superino l’eredità dell’illuminismo

Alla Federazione internazionale delle università cattoliche Francesco ha detto che gli  atenei debbono rispondere alla “forte pressione avvertita nei vari ambiti della vita socio-economica, politica e culturale”, in modo da preparare “a diventare non solo qualificati professionisti nelle varie discipline, ma anche protagonisti del bene comune, leader creativi e responsabili della vita sociale e civile con una corretta visione dell’uomo e del mondo”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Nelle università “è necessario superare l’eredità dell’illuminismo”, educare non è soltanto riempire la testa di concetti, ma anche coordinare il linguaggio ‘della mente’, ‘del cuore’ e ‘della mano’, in una logica di promozione umana. E’ una delle indicazioni date da papa Francesco alle università cattoliche di tutto il mondo, nell’incontro avuto oggi con i partecipanti al convegno della Federazione internazionale delle università cattoliche (Fiuc), sul tema: “Nuove frontiere per i leader delle università. Il futuro della salute e l’ecosistema dell’università”.

Gli atenei, nelle parole del Papa, debbono rispondere alla “forte pressione avvertita nei vari ambiti della vita socio-economica, politica e culturale”, in modo da preparare “a diventare non solo qualificati professionisti nelle varie discipline, ma anche protagonisti del bene comune, leader creativi e responsabili della vita sociale e civile con una corretta visione dell’uomo e del mondo. In questo senso oggi le università si devono interrogare sul contributo che esse possono e devono dare per la salute integrale dell’uomo e per un’ecologia solidale”. Esigenze che le università cattoliche  dovrebbero avvertire con “ancora maggiore acutezza”.

Nel mondo di oggi, ha osservato Francesco, lo sviluppo delle scienze tecniche è  destinato ad influire “in modo crescente” sulla salute fisica e psicologica delle persone. Ma “una educazione ridotta a mera istruzione tecnica o a mera informazione diventa un’alienazione dell’educazione; ritenere di potere trasmettere conoscenze astraendo dalla loro dimensione etica, sarebbe come rinunciare a educare. È necessario superare l’eredità dell’illuminismo, educare in genere, ma piuttosto nelle università, non è soltanto riempire la testa di concetti. Ci vogliono i tre linguaggi. È necessario che i tre linguaggi entrino in gioco: il linguaggio della mente, il linguaggio del cuore e il linguaggio della mano, così che si pensi in armonia con quello che si sente, si fa; si senta in armonia con quello che si pensa e si fa, si faccia in armonia con quello che si sente e si pensa. Un’armonia generale, non tagliata dalla totalità”.

“Il collegamento tra conoscenza e finalità rimanda al tema della intenzionalità e al ruolo del soggetto in ogni processo conoscitivo. E arriviamo così ad una nuova episteme; è una sfida: fare una nuova episteme. L’epistemologia tradizionale aveva sottolineato tale ruolo ritenendo il carattere impersonale di ogni conoscenza come condizione di oggettività, requisito essenziale dell’universalità e della comunicabilità del sapere. Oggi, invece, numerosi autori mettono in risalto come non esistano esperienze totalmente impersonali: la forma mentis, le convinzioni normative, le categorie, la creatività, le esperienze esistenziali del soggetto rappresentano una ‘dimensione tacita’ della conoscenza ma sempre presente, un fattore indispensabile per la accettazione del progresso scientifico. Non possiamo pensare a una nuova episteme di laboratorio, non va; della vita, sì”.

Per questo le università cattoliche hanno “l’imperativo morale” di adoperarsi per “realizzare una comunità internazionale accademica più unita”, affondando “con più convinzione” le proprie radici in quel contesto cristiano “dal quale le università ebbero origine”.

Rifacendosi infine al tema del convegno, la formazione dei leader delle università, Francesco ha sottolineato che “il sapere scientifico e teorico va impastato con la sensibilità dello studioso e ricercatore affinché i frutti dello studio non siano acquisiti in senso autoreferenziale, solo per affermare la propria posizione professionale, ma siano proiettati in senso relazionale e sociale. In definitiva, così come ogni scienziato ed ogni uomo di cultura ha l’obbligo di servire di più, perché sa di più, così la comunità universitaria, soprattutto se di ispirazione cristiana, e l’ecosistema delle istituzioni accademiche devono rispondere nel loro insieme al medesimo obbligo”.

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