12/06/2017, 12.21
VATICANO
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Papa: la consolazione non è “autonoma”, è dono di Dio e servizio da dare agli altri

“L’esperienza della consolazione, che è un’esperienza spirituale, ha bisogno sempre di un’alterità per essere piena: nessuno può consolare se stesso”. “Se io lascio entrare la consolazione del Signore come dono è perché ho bisogno di essere consolato. Sono bisognoso: per essere consolato è necessario riconoscere di essere bisognoso. Soltanto così il Signore viene, ci consola e ci dà la missione di consolare gli altri”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – La consolazione non è “autonoma”, ma è dono di Dio da chiedere e donare agli altri.  E nessuno può consolare se stesso autonomamente, rischia la narcisistica autorefenzialità. L’ha detto papa Francesco durante la messa celebrata stamattina a Casa santa Marta commentando la Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinti (1,1-7), nella quale per otto volte in 19 righe si parla proprio di consolazione.

La prima caratteristica della consolazione ha affermato Francesco, è di non essere “autonoma”. “L’esperienza della consolazione, che è un’esperienza spirituale, ha bisogno sempre di un’alterità per essere piena: nessuno può consolare se stesso, nessuno. E chi cerca di farlo, finisce guardandosi allo specchio, si guarda allo specchio, cerca di truccare se stesso, di apparire. Si consola con queste cose chiuse che non lo lasciano crescere e l’aria che respira è quell’aria narcisista dell’autoreferenzialità. Questa è la consolazione truccata che non lascia crescere. E questa non è consolazione, perché è chiusa, le manca un’alterità”.

Nel Vangelo si trova tanta gente così, ha evidenziato il Papa. Ad esempio, i dottori della Legge , “pieni della propria sufficienza”, il ricco Epulone che viveva di festa in festa pensando di essere così consolato, ma soprattutto la preghiera del fariseo davanti all’altare, che dice: “Ti ringrazio perché non sono come gli altri”. “Questo si guardava allo specchio”, ha notato il Papa, “guardava la propria anima truccata da ideologie e ringraziava il Signore”. Gesù quindi fa vedere questa possibilità di essere gente che con questo modo di vivere “mai arriverà alla pienezza, al massimo alla ‘gonfiezza’”, cioè alla vanagloria.

La consolazione per essere vera ha quindi bisogno di un’alterità. Prima di tutto si riceve perché “è Dio che consola”, che dà questo “dono”. Poi la vera consolazione matura anche in un’altra alterità, quella di consolare gli altri. “La consolazione è uno stato di passaggio dal dono ricevuto al servizio donato”. “La vera consolazione ha questa doppia alterità: è dono e servizio. E così se io lascio entrare la consolazione del Signore come dono è perché ho bisogno di essere consolato. Sono bisognoso: per essere consolato è necessario riconoscere di essere bisognoso. Soltanto così il Signore viene, ci consola e ci dà la missione di consolare gli altri. E non è facile avere il cuore aperto per ricevere il dono e fare il servizio, le due alterità che fanno possibile la consolazione”.

Serve quindi un cuore aperto e per esserlo ci vuole “un cuore felice”. E proprio il Vangelo odierno delle Beatitudini dice “chi sono i felici, chi sono i beati”. “I poveri, il cuore si apre con un atteggiamento di povertà, di povertà di spirito. Quelli che sanno piangere, quelli miti, la mitezza del cuore; quelli affamati di giustizia, che lottano per la giustizia; quelli che sono misericordiosi, che hanno misericordia nei confronti degli altri; i puri di cuore; gli operatori di pace e quelli che sono perseguitati per la giustizia, per amore alla giustizia. Così il cuore si apre e il Signore viene con il dono della consolazione e la missione di consolare gli altri”.

Invece sono “chiusi” quelli che si sentono “ricchi di spirito", cioè “sufficienti”, “quelli che non hanno bisogno di piangere perché si sentono giusti”, i violenti che non sanno cosa sia la mitezza, gli ingiusti che compiono ingiustizia, coloro che sono senza misericordia, che non hanno mai bisogno di perdonare perché non sentono il bisogno di essere perdonati, “quelli sporchi di cuore”, gli “operatori di guerre” e non di pace, e coloro che non vengono mai criticati o perseguitati perché non gli importa delle ingiustizie verso le altre persone. “Questi hanno un cuore chiuso”: non sono felici perché non può entrare il dono della consolazione per poi darlo agli altri. In conclusione, Francesco invita a domandarsi come sia il nostro cuore, se sia aperto e capace di chiedere il dono della consolazione per poi darla agli altri come un dono del Signore. Bisogna tornare durante la giornata su questi pensieri e ringraziare il Signore che “sempre cerca di consolarci”. “Soltanto ci chiede che la porta del cuore sia aperta almeno ‘un pochettino’: così, Lui poi si arrangia per entrare”.

 

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