Papa: la Chiesa di fronte alla sfida di scoprire il modo di parlare di Dio nel linguaggio digitale
““Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo”. L’esemio di Matteo Ricci.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Scoprire” simboli e metafore significative per le persone, che possano essere di aiuto nel parlare del Regno di Dio all’uomo contemporaneo, immerso in una “linguaggio” digitale che orienta “verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà”, nel quale si ha “una capacità più intuitiva ed emotiva che analitica” e c’è il rischio che l’opinione prevalga sulla verità.
E’ un mondo al quale Benedetto XVI invitta a guardare senza preconcetti, positivi o negativi, per portarvi l’annuncio del Vangelo con lo stile che fu di Matteo Ricci che “nella sua opera di diffusione del messaggio di Cristo ha considerato sempre la persona, il suo contesto culturale e filosofico, i suoi valori, il suo linguaggio, cogliendo tutto ciò che di positivo si trovava nella sua tradizione, e offrendo di animarlo ed elevarlo con la sapienza e la verità di Cristo”.
Un modello che il Papa ha proposto ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, convocata a Roma da oggi a giovedì 3 marzo sul tema "Linguaggio e comunicazione", ai quali Benedetto XVI ha offerto una riflessione sul linguaggio, da intendere non “un semplice rivestimento intercambiabile e provvisorio di concetti, ma il contesto vivente e pulsante nel quale i pensieri, le inquietudini e i progetti degli uomini nascono alla coscienza e vengono plasmati in gesti, simboli e parole”.
I nuovi linguaggi che si sviluppano nella comunicazione digitale “orientano verso una diversa organizzazione logica del pensiero e del rapporto con la realtà, privilegiano spesso l’immagine e i collegamenti ipertestuali”. Nella comunicazione digitale, “la tradizionale distinzione netta tra linguaggio scritto e orale, poi, sembra sfumarsi a favore di una comunicazione scritta che prende la forma e l’immediatezza dell’oralità. Le dinamiche proprie delle «reti partecipative», richiedono inoltre che la persona sia coinvolta in ciò che comunica. Quando le persone si scambiano informazioni, stanno già condividendo se stesse e la loro visione del mondo: diventano «testimoni» di ciò che dà senso alla loro esistenza. I rischi che si corrono, certo, sono sotto gli occhi di tutti: la perdita dell’interiorità, la superficialità nel vivere le relazioni, la fuga nell’emotività, il prevalere dell’opinione più convincente rispetto al desiderio di verità. E tuttavia essi sono la conseguenza di un’incapacità di vivere con pienezza e in maniera autentica il senso delle innovazioni. Ecco perché la riflessione sui linguaggi sviluppati dalle nuove tecnologie è urgente”.
Perché “se i nuovi linguaggi hanno un impatto sul modo di pensare e di vivere, ciò riguarda, in qualche modo, anche il mondo della fede, la sua intelligenza e la sua espressione”.
“Non si tratta solamente di esprimere il messaggio evangelico nel linguaggio di oggi, ma occorre avere il coraggio di pensare in modo più profondo, come è avvenuto in altre epoche, il rapporto tra la fede, la vita della Chiesa e i mutamenti che l’uomo sta vivendo. È l’impegno di aiutare quanti hanno responsabilità nella Chiesa ad essere in grado di capire, interpretare e parlare il «nuovo linguaggio» dei media in funzione pastorale (cfr Aetatis novae, 2), in dialogo con il mondo contemporaneo, domandandosi: quali sfide il cosiddetto «pensiero digitale» pone alla fede e alla teologia? Quali domande e richieste?”.
“È proprio l’appello ai valori spirituali che permetterà di promuovere una comunicazione veramente umana: al di là di ogni facile entusiasmo o scetticismo, sappiamo che essa è una risposta alla chiamata impressa nella nostra natura di esseri creati a immagine e somiglianza del Dio della comunione”.
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