Papa: in un messaggio la sua solidale vicinanza ai cattolici del Medio Oriente
Benedetto XVI incoraggia le piccole comunità cattoliche, esorta alla solidarietà, al rifiuto della vendetta, alla ricerca del dialogo e ricorda ai politici della regione le loro responsabilità. La speranza di una visita in una Terra Santa pacifica.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Non c’è pace senza giustizia” e “non c’è giustizia senza perdono”: le parole di Giovanni Paolo II tornano oggi ad essere pronunciate da Benedetto XVI che con esse invita i cristiani del Medio Oriente a “riconoscere ed onorare i diritti di ognuno”, ma al tempo stesso a “transigere sui passati errori”, in modo da “arrivare ad un accordo che consenta di riaprire il dialogo in vista di future collaborazioni”. C’è un incoraggiamento ai cristiani che soffrono, una esortazione ad essere solidali tra loro e con i fedeli di altre religioni che ugualmente si trovano in condizioni dolorose ed un appello a coloro che hanno responsabilità nella regione perché cerchino le vie della pace e della concordia nel Messaggio inviato da Benedetto XVI in occasione del Natale ai cattolici che vivono nelle regioni del Medio Oriente. E c’è la speranza del Papa di poter andare in una Terra Santa finalmente in pace.
“Mi rivolgo con affetto – scrive il Papa - alle Comunità che sono e si sentono “piccolo gregge” sia per il ridotto numero di fratelli e sorelle (cfr Lc 12,32), sia perché immerse in società composte in larga maggioranza di credenti di altre religioni, sia per le circostanze presenti che vedono alcune delle Nazioni d’appartenenza in seri disagi e difficoltà. Penso soprattutto ai Paesi segnati da forti tensioni e spesso sottoposti a manifestazioni di efferata violenza che, oltre a causare grandi distruzioni, colpiscono senza pietà persone inermi e innocenti. Le notizie quotidiane che giungono dal Medio Oriente non fanno che mostrare un crescendo di situazioni drammatiche, quasi senza via di uscita. Sono vicende che in quanti ne sono coinvolti suscitano naturalmente recriminazione e rabbia e predispongono gli animi a propositi di rivalsa e di vendetta”.
“Sappiamo – aggiunge - che questi non sono sentimenti cristiani; cedere ad essi rende interiormente duri e astiosi, ben lontani da quella “mitezza ed umiltà” di cui Cristo Gesù ci si è proposto come modello (cfr Mt 11,29). Si perderebbe così l’occasione di offrire un contributo propriamente cristiano alla soluzione dei gravissimi problemi di questo nostro tempo. Non sarebbe davvero saggio, soprattutto in questo momento, spendere tempo ad interrogarsi su chi abbia sofferto di più o voler presentare il conto dei torti ricevuti, elencando le ragioni che militano a favore della propria tesi. Ciò è stato fatto spesso nel passato, con risultati a dir poco deludenti. La sofferenza in fondo accomuna tutti, e quando uno soffre deve sentire anzitutto il desiderio di capire quanto possa soffrire l’altro che si trova in una situazione analoga. Il dialogo paziente e umile, fatto di ascolto reciproco e teso alla comprensione dell’altrui situazione ha già portato buoni frutti in molti Paesi precedentemente devastati dalla violenza e dalle vendette”.
“Certo – si legge ancora nel messaggio - la risposta alla propria vocazione cristiana è tanto più ardua
per i membri di quelle comunità che sono minoranza e spesso numericamente poco significanti nelle società in cui si trovano immerse. Tuttavia ‘la luce può essere flebile in una casa - scrissero i vostri Patriarchi nella loro Lettera Pastorale della Pasqua 1992 -, ma rischiara tutta la casa. Il sale è elemento minimale negli alimenti, ma è esso che dà loro il sapore. Il lievito è molto poco nella pasta, ma è quello che la fa lievitare e la prepara a divenire pane’. Faccio mie queste parole ed incoraggio i Pastori cattolici a perseverare nel loro ministero, coltivando l’unità tra loro e restando sempre vicini al loro gregge”.
“Da lungo tempo – prosegue il Papa - si osserva come molti cristiani stiano lasciando il Medio Oriente, così che i Luoghi Santi rischiano di trasformarsi in zone archeologiche, prive di vita ecclesiale. Certo, situazioni geopolitiche pericolose, conflitti culturali, interessi economici e strategici, nonché aggressività che si cerca di giustificare attribuendo loro una matrice sociale o religiosa, rendono difficile la sopravvivenza delle minoranze e perciò molti cristiani sono portati a cedere alla tentazione di emigrare. Spesso il male può essere in qualche modo irreparabile. Non si dimentichi tuttavia che anche il semplice stare vicini e vivere insieme una sofferenza comune agisce come balsamo sulle ferite e dispone a pensieri e opere di riconciliazione e di pace. Ne nasce un dialogo familiare e fraterno, che con il tempo e con la grazia dello Spirito, potrà trasformarsi in dialogo a livello più ampio: culturale, sociale e anche politico. Il credente peraltro sa di poter contare su una speranza che non delude, perché si fonda sulla presenza del Risorto. Da Lui viene l’impegno nella fede e l’operosità nella carità (cfr 1 Ts 1,3). Nelle difficoltà anche più dolorose, la speranza cristiana attesta che la rassegnazione passiva e il pessimismo sono il vero grande pericolo che insidia la risposta alla vocazione che scaturisce dal Battesimo. Ne possono derivare sfiducia, paura, autocommiserazione, fatalismo e fuga”. “Nell’ora presente, ai cristiani è chiesto di essere coraggiosi e determinati con la forza dello Spirito di Cristo, sapendo di poter contare sulla vicinanza dei loro fratelli nella fede, sparsi nel mondo”.
“Attraverso di voi, carissimi – prosegue il messaggio papale - intendo rivolgermi anche ai vostri concittadini, uomini e donne delle diverse confessioni cristiane, delle diverse religioni e a tutti coloro che cercano con onestà la pace, la giustizia, la solidarietà, mediante l’ascolto reciproco e il dialogo sincero. A tutti dico: perseverate con coraggio e fiducia! A quanti hanno la responsabilità di guidare gli eventi, poi, chiedo sensibilità, attenzione e vicinanza concreta che superi calcoli e strategie, affinché si edifichino società più giuste e più pacifiche, nel rispetto vero di ogni essere umano. Come vi è noto, carissimi fratelli e sorelle, spero vivamente che la Provvidenza faccia sì che le circostanze permettano un mio pellegrinaggio nella Terra resa santa dagli avvenimenti della Storia della Salvezza. Spero così di poter pregare a Gerusalemme “patria del cuore di tutti i discendenti spirituali di Abramo, che la sentono immensamente cara” (Giovanni Paolo II, Redemptionis anno, AAS LXXVI, 1984, 625). Sono infatti convinto che essa può assurgere ‘a simbolo di incontro, di unione e di pace per tutta la famiglia umana’ (ibid., p. 629). In attesa dell’avveramento di questo desiderio, vi incoraggio a proseguire sulla via della fiducia, compiendo gesti di amicizia e di buona volontà. Alludo sia ai gesti semplici e quotidiani, già da tempo praticati nelle vostre regioni da molta gente umile che ha sempre trattato con riguardo tutte le persone, sia ai gesti in qualche modo eroici, ispirati dall’autentico rispetto per la dignità umana, nel tentativo di trovare vie di uscita a situazioni di grave conflittualità. La pace è un bene così grande ed urgente da giustificare sacrifici anche grandi da parte di tutti.
Come scriveva il mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, “non c’è pace senza giustizia”. È perciò necessario che si riconoscano ed onorino i diritti di ciascuno. Giovanni Paolo II però aggiungeva: “non c’è giustizia senza perdono”. Normalmente senza transigere su passati errori non si può arrivare ad un accordo che consenta di riaprire il dialogo in vista di future collaborazioni. Il perdono, nel caso, è condizione indispensabile per essere liberi di progettare un nuovo futuro. Dal perdono concesso ed accolto possono nascere e svilupparsi tante opere di solidarietà, nella linea di quelle che già esistono ampiamente nelle vostre regioni per iniziativa sia della Chiesa che dei governi e delle istanze non governative”.
“Il canto degli Angeli sulla capanna di Betlemme - “Pace in terra agli uomini che Dio ama” assume – conclude il Papa - in questi giorni tutta la sua pregnanza e produce fin da ora quei frutti che si avranno in pienezza nella vita eterna. Il mio auspicio è che il tempo di Natale segni un termine o almeno un sollievo per tante sofferenze e dia a tante famiglie quel supplemento di speranza che è necessario per perseverare nell’arduo compito di promuovere la pace in un mondo ancora tanto lacerato e diviso. Carissimi, siate certi che in questo cammino vi accompagna la fervente preghiera del Papa e di tutta la Chiesa”.
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