Papa: guardiamo con serenità e speranza l'enigma umano della morte
La beatitudine attende chi è docile ai comandamenti di Dio. Oggi Benedetto XVI scenderà a pregare sulle tombe dei papi.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Guardiamo "all'enigma umano della morte con serenità e speranza": nel giorno che la Chiesa dedica alla commemorazione dei defunti, Benedetto XVI ha dedicato la sua riflessione dell'udienza generale alla visione cristiana per la quale la fine della vita "è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso il quale possono raggiungere la vita in pienezza coloro che modellano la loro esistenza terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio".
La liturgia odierna, ha ricordato il Papa, "ci invita a pregare per i nostri cari scomparsi, volgendo il pensiero al mistero della morte, comune eredità di tutti gli uomini". E lo stesso Benedetto XVI, oggi, si recherà in preghiera sulle tombe dei papi, ed in particolare a quella di Giovanni Paolo II, nelle grotte vaticane. Un pensiero al suo predecessore, Benedetto XVI l'ha dedicato,anche questa mattina, nel saluto rivolto ai fedeli polacchi: "Oggi- ha detto - ricordiamo nella preghiera tutti i fedeli defunti, i nostri cari. Ricordiamo altresì Giovanni Paolo II. Nella ricorrenza della sua ordinazione sacerdotale e del suo onomastico, rendiamo grazie a Dio per i frutti della vita e del Ministero di questo Servo di Dio".
"Illuminati dalla fede aveva detto nel suo discorso - guardiamo all'enigma umano della morte con serenità e speranza. Secondo la Scrittura, infatti, essa più che una fine, è una nuova nascita, è il passaggio obbligato attraverso il quale possono raggiungere la vita in pienezza coloro che modellano la loro esistenza terrena secondo le indicazioni della Parola di Dio". Il salmo 111, che oggi ha dato lo spunto alla riflessione del Papa, "ci presenta la figura di questi giusti, i quali temono il Signore, ne riconoscono la trascendenza e aderiscono con fiducia e amore alla sua volontà in attesa di incontrarlo dopo la morte. A questi fedeli è riservata una "beatitudine": «Beato l'uomo che teme il Signore» (v. 1). Il Salmista precisa subito in che cosa consista tale timore: esso si manifesta nella docilità ai comandamenti di Dio. È proclamato beato colui che «trova grande gioia» nell'osservare i comandamenti, trovando in essi gioia e pace. La docilità a Dio è, quindi, radice di speranza e di armonia interiore ed esteriore. L'osservanza della legge morale è sorgente di profonda pace della coscienza. Anzi, secondo la visione biblica della «retribuzione», sul giusto si stende il manto della benedizione divina, che imprime stabilità e successo alle sue opere e a quelle dei suoi discendenti".
Ed anche se "a questa visione ottimistica si oppongono le osservazioni amare del giusto Giobbe, che sperimenta il mistero del dolore, si sente ingiustamente punito e sottoposto a prove apparentemente insensate", "rimane valida la fiducia che il Salmista vuole trasmettere e far sperimentare a chi ha scelto di seguire la via di una condotta moralmente ineccepibile, contro ogni alternativa di illusorio successo ottenuto attraverso l'ingiustizia e l'immoralità. Il cuore di questa fedeltà alla Parola divina consiste in una scelta fondamentale, cioè la carità verso i poveri e i bisognosi".
Il Salmo 111, ha osservato poi Benedetto XVI, "accanto al ritratto dell'uomo fedele e caritatevole, «buono, misericordioso e giusto», presenta in finale, in un solo versetto (cfr v. 10), anche il profilo del malvagio. Questo individuo assiste al successo della persona giusta rodendosi di rabbia e di invidia. È il tormento di chi ha una cattiva coscienza, a differenza dell'uomo generoso che ha «saldo» e «sicuro il suo cuore» (vv. 7-8)".
"Felice ha concluso a braccio - è l'uomo che dona, che non prende la vita per se stesso, ma dona. Felice è l'uomo misericordioso, felice è l'uomo che vive nell'amore di Dio e del prossimo. Così viviamo bene, perché siamo nella felicità di Dio, che dura per sempre".