Papa: anche davanti all’apparente “silenzio di Dio”, l’uomo deve sapere che Dio è presente
La violenza rende l’uomo “come una bestia, la violenza ha qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire all’uomo la sua umanità”. All’udienza generale, Benedetto XVI commenta il salmo 22, preghiera di forti implicazioni cristologiche, che inizia con “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?”.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Anche davanti all’apparente “silenzio di Dio”, l’uomo deve avere fede nel suo intervento salvifico. “Dio è presente” anche quando si sente solo, abbandonato alla violenza dei nemici, a quella violenza che rende l’uomo “come una bestia, la violenza ha qualcosa di bestiale e solo l’intervento salvifico di Dio può restituire all’uomo la sua umanità”.
E’ l’insegnamento che Benedetto XVI trae dalla lettura del salmo 22, che ha illustrato alle ottomila persone presenti nell’aula Paolo VI per l’udienza generale.
Questo salmo è “una preghiera accorata e toccante”, di “densità umana e ricchezza teologica”, dalle “forti implicazioni cristologiche, che continuamente ricordano la passione di Gesù”. Il grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” del salmista sono infatti le ultime del Crocefisso.
Ma non solo, il salmo infatti “presenta la figura di un innocente perseguitato e circondato da avversari che ne vogliono la morte; ed egli ricorre a Dio in un lamento doloroso che, nella certezza della fede, si apre misteriosamente alla lode. Nella sua preghiera, la realtà angosciante del presente e la memoria consolante del passato si alternano, in una sofferta presa di coscienza della propria situazione disperata che però non vuole rinunciare alla speranza. Il suo grido iniziale è un appello rivolto a un Dio che appare lontano, che non risponde e sembra averlo abbandonato":
”Dio tace - ha proseguito il Papa - e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente”. La preghiera chiede una risposta, “ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile. Eppure, l’orante del nostro Salmo per ben tre volte, nel suo grido, chiama il Signore ‘mio’ Dio, in un estremo atto di fiducia e di fede. Nonostante ogni apparenza, il Salmista non può credere che il legame con il Signore si sia interrotto totalmente; e mentre chiede il perché di un presunto abbandono incomprensibile, afferma che il ‘suo’ Dio non lo può abbandonare".
Il grido iniziale del salmo, ha ricordato poi il Papa, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, è riportato dai vangeli come il grido lanciato da Gesù morente. “Esso esprime tutta la desolazione del Messia, Figlio di Dio, che sta affrontando il dramma della morte, una realtà totalmente contrapposta al Signore della vita. Abbandonato da quasi tutti i suoi, tradito e rinnegato da discepoli, attorniato da chi lo insulta, Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento. Perciò grida al Padre, e la sua sofferenza assume le parole dolenti del Salmo. Ma il suo non è un grido disperato, come non lo era quello del Salmista, che nella sua supplica percorre un cammino tormentato sfociando però infine in una prospettiva di lode, nella fiducia della vittoria divina. E poiché nell’uso ebraico citare l’inizio di un Salmo implicava un riferimento all’intero poema, la preghiera straziante di Gesù, pur mantenendo la sua carica di indicibile sofferenza, si apre alla certezza della gloria”.
“Tutta la storia biblica è stata una storia di grida di aiuto da parte del popolo e di risposte salvifiche da parte di Dio”. E il salmista fa riferimento alla incrollabile fede dei suoi padri, che “confidarono senza mai rimanere delusi”. Ma ora sembra che questa catena di invocazioni fiduciose e risposte divine si sia interrotta. “Gli avversari appaiono invincibili, sono diventati animali feroci e pericolosissimi”.
E “con immagini drammatiche, che ritroviamo nei racconti della passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo del condannato, l’arsura insopportabile che tormenta il morente e che trova eco nella richiesta di Gesù «Ho sete», per giungere al gesto definitivo degli aguzzini che, come i soldati sotto la croce, si spartiscono le vesti della vittima, considerata già morta".
La nuova richiesta di soccorso che lancia il salmista è “un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento si trasforma, lascia il posto alla lode nell’accoglienza della salvezza”. Dio “è accorso in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia. Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato, il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno. È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza".
E’ l’insegnamento che Benedetto XVI trae dalla lettura del salmo 22, che ha illustrato alle ottomila persone presenti nell’aula Paolo VI per l’udienza generale.
Questo salmo è “una preghiera accorata e toccante”, di “densità umana e ricchezza teologica”, dalle “forti implicazioni cristologiche, che continuamente ricordano la passione di Gesù”. Il grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” del salmista sono infatti le ultime del Crocefisso.
Ma non solo, il salmo infatti “presenta la figura di un innocente perseguitato e circondato da avversari che ne vogliono la morte; ed egli ricorre a Dio in un lamento doloroso che, nella certezza della fede, si apre misteriosamente alla lode. Nella sua preghiera, la realtà angosciante del presente e la memoria consolante del passato si alternano, in una sofferta presa di coscienza della propria situazione disperata che però non vuole rinunciare alla speranza. Il suo grido iniziale è un appello rivolto a un Dio che appare lontano, che non risponde e sembra averlo abbandonato":
”Dio tace - ha proseguito il Papa - e questo silenzio lacera l’animo dell’orante, che incessantemente chiama, ma senza trovare risposta. I giorni e le notti si succedono, in una ricerca instancabile di una parola, di un aiuto che non viene; Dio sembra così distante, così dimentico, così assente”. La preghiera chiede una risposta, “ma se Dio non risponde, il grido di aiuto si perde nel vuoto e la solitudine diventa insostenibile. Eppure, l’orante del nostro Salmo per ben tre volte, nel suo grido, chiama il Signore ‘mio’ Dio, in un estremo atto di fiducia e di fede. Nonostante ogni apparenza, il Salmista non può credere che il legame con il Signore si sia interrotto totalmente; e mentre chiede il perché di un presunto abbandono incomprensibile, afferma che il ‘suo’ Dio non lo può abbandonare".
Il grido iniziale del salmo, ha ricordato poi il Papa, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, è riportato dai vangeli come il grido lanciato da Gesù morente. “Esso esprime tutta la desolazione del Messia, Figlio di Dio, che sta affrontando il dramma della morte, una realtà totalmente contrapposta al Signore della vita. Abbandonato da quasi tutti i suoi, tradito e rinnegato da discepoli, attorniato da chi lo insulta, Gesù è sotto il peso schiacciante di una missione che deve passare per l’umiliazione e l’annichilimento. Perciò grida al Padre, e la sua sofferenza assume le parole dolenti del Salmo. Ma il suo non è un grido disperato, come non lo era quello del Salmista, che nella sua supplica percorre un cammino tormentato sfociando però infine in una prospettiva di lode, nella fiducia della vittoria divina. E poiché nell’uso ebraico citare l’inizio di un Salmo implicava un riferimento all’intero poema, la preghiera straziante di Gesù, pur mantenendo la sua carica di indicibile sofferenza, si apre alla certezza della gloria”.
“Tutta la storia biblica è stata una storia di grida di aiuto da parte del popolo e di risposte salvifiche da parte di Dio”. E il salmista fa riferimento alla incrollabile fede dei suoi padri, che “confidarono senza mai rimanere delusi”. Ma ora sembra che questa catena di invocazioni fiduciose e risposte divine si sia interrotta. “Gli avversari appaiono invincibili, sono diventati animali feroci e pericolosissimi”.
E “con immagini drammatiche, che ritroviamo nei racconti della passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo del condannato, l’arsura insopportabile che tormenta il morente e che trova eco nella richiesta di Gesù «Ho sete», per giungere al gesto definitivo degli aguzzini che, come i soldati sotto la croce, si spartiscono le vesti della vittima, considerata già morta".
La nuova richiesta di soccorso che lancia il salmista è “un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento si trasforma, lascia il posto alla lode nell’accoglienza della salvezza”. Dio “è accorso in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia. Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato, il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli si prostreranno. È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono della vita, l’abisso del dolore in fonte di speranza".
Vedi anche