Papa: amicizia con gli ebrei, dialogo con l’islam e tutti insieme operare per la pace
di Franco Pisano / inviato
Benedetto XVI a Gerusalemme va alla Cupola della Roccia e al Muro del pianto. Con il Gran muftì e i Gran rabbini sottolinea la necessità di proseguire nel dialogo. Ma l’esponente musulmano gli chiede aiuto per mettere fine “all’aggressione” israeliana. Palloncini coi colori palestinesi sulla città vecchia. I giornali israeliani critici sul discorso allo Yad Vashem.
Gerusalemme (AsiaNews) - La Cupola della Roccia e il Muro del Pianto, distanti poche decine di metri, sono come la rappresentazione visiva della vicinanza e della divisione tra ebrei e musulmani. Benedetto XVI, al secondo giorno della sua visita in Israele, ha fisicamente superato quella distanza per incontrare prima il Gran muftì di Gerusalemme e poi i due Grandi rabbini della città. Con l’uno e con gli altri ha evidenziato l’unità della famiglia umana e il comune impegno per “costruire un mondo di giustizia e di pace”. Tra le due visite, la suggestiva sosta al Muro occidentale, comunemente detto “del pianto”, ove, come già fece Giovanni Paolo II, ha osservato la tradizione ebraica di porre tra le pietre di ciò che resta del Tempio di Erode un foglietto con una preghiera nella quale chiede a Dio la pace per la Terra Santa, il Medio Oriente e l’umanità intera.
Ma proprio a rimarcare le distanze, mentre Benedetto XVI era sulla Spianata delle moschee, dalla città vecchia sono stati lanciati in cielo palloncini con i colori della Palestina.
La ricerca della pace, oltre che una preghiera, è, per il Papa, anche un compito dei cristiani di questa regione, come è tornato a dire oggi, incontrando al Cenacolo, a fine mattinata gli Ordinari di Terra Santa: “I cristiani nel Medio Oriente” - definiti “candele accese che illuminano i luoghi santi cristiani” – “insieme alle altre persone di buona volontà, stanno contribuendo, come cittadini leali e responsabili, nonostante le difficoltà e le restrizioni, alla promozione ed al consolidamento di un clima di pace nella diversità”.
E’ stato, seppure con sottolineature diverse, il tema del quale Benedetto XVI ha parlato, stamane, sia con i musulmani che con gli ebrei. La giornata del Papa è iniziata con la visita alla Spianata delle moschee e alla Cupola della Roccia, che prende nome dal luogo ove Maometto avrebbe pregato prima di intraprendere il suo viaggio verso il cielo e dove suoneranno le trombe del giorno del Giudizio.
Benedetto XVI - che, entrando nella moschea che domina il panorama della città vecchia, si è tolto le scarpe - ha ricordato che la Cupola rimanda al pensiero delle tre fedi monoteistiche ad Abramo che “ciascuna riconosce come proprio antenato”. “In un mondo tristemente lacerato da divisioni, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno”.
Ma, a marcare ancora le differenze, il Gran mufti di Gerusalemme, Mohammad Hussein, ha chiesto al Papa di “svolgere un ruolo efficace per mettere fine all'aggressione” israeliana contro i palestinesi. "La nostra aspirazione è che Sua Santità svolga un ruolo efficace nel mettere fine all'aggressione in corso contro la nostra gente, la nostra terra e i nostri luoghi sacri a Gerusalemme, Gaza e Cisgiordania".
L’episodio rinvia a quanto accaduto ieri sera, quando un esponente islamico, lo sheik Taisir Tamini, intervenuto all’incontro interreligioso in corso al Notre Dame of Jerusalem Center, ha lanciato, in arabo, una lunga invettiva contro Israele. In proposito il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha commentato che “L'intervento non era previsto dagli organizzatori dell'incontro. In un incontro dedicato al dialogo tale intervento - ha aggiunto - è stato un esempio di negazione del dialogo. Ci si augura che questo incidente non comprometta la missione del papa diretta a promuovere la pace e il dialogo tra le religioni”.
Cosa che Benedetto XVI ha confermato anche oggi. Sceso dalla Spianata al Muro occidentale - entrambi tenuti deserti dalla attentissima sicurezza israeliana – dopo che un rabbino ha recitato un salmo in ebraico ha letto, in latino, quello che invoca “pace per Gerusalemme”. Poi si è accostato al Muro e vi ha posto la sua preghiera, che dice: “Dio di tutti i tempi / nella mia visita a Gerusalemme la “Città della Pace” / Casa spirituale di ebrei, cristiani e musulmani ugualmente / porto davanti a te le gioie, le speranze e le aspirazioni / le prove, le sofferenze e i dolori di tutti i tuoi popoli del mondo intero. / Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe / ascolta il grido degli afflitti, degli spaventati, dei disperati, / manda la tua pace sulla Terra Santa, sul Medio Oriente, / su tutta l’intera famiglia umana / muovi i cuori di tutti coloro che chiamano il tuo nome / per camminare umilmente sulla strada della giustizia e della compassione. / “Dio è buono con coloro che lo aspettano, / con l’anima che lo cerca” (Lam 3:25)”.
Clima cordiale al Gran Rabbinato di Gerusalemme, dove Benedetto XVI ha avuto un colloquio privato con il Gran Rabbino askenazita Yona Metzger e il Gran Rabbino sefardita Shlomo Amar, prima della parte pubblica dell’incontro. In quella sede, il rabbino Metzeger ha sottolineato i progressi del dialogo, ha ringraziato il Papa per essersi schierato contro il negazionista lefebvriano Williamson. Ha però chiesto al Papa di fare “chiarezza” sulla vicenda di quei bambini ebrei che furono affidati alla Chiesa durante la persecuzione, ma che non sempre sono cresciuti “conoscendo le loro radici”.
Da parte sua, il Papa ha ringraziato Dio per il dialogo condotto dalla Commissione bilaterale tra il Gran rabbinato e la Santa Sede che rappresenta “solo la fase iniziale di ciò che noi speriamo sarà un solido, progressivo cammino verso una migliorata reciproca comprensione. Una indicazione del potenziale di questa serie di incontri – ha proseguito - si è subito vista nella nostra condivisa preoccupazione di fronte al relativismo morale e alle offese che esso genera contro la dignità della persona umana. Nell’avvicinare le più urgenti questioni etiche dei nostri giorni, le nostre due comunità si trovano di fronte alla sfida di impegnare a livello di ragione le persone di buona volontà, additando loro simultaneamente i fondamenti religiosi che meglio sostengono i perenni valori morali. Possa il dialogo che è stato avviato continuare a generare idee su come sia possibile a Cristiani ed Ebrei lavorare insieme per accrescere l'apprezzamento della società per i contributi caratteristici delle nostre tradizioni religiose ed etiche. Qui in Israele i Cristiani, dal momento che costituiscono solamente una piccola parte della popolazione totale, apprezzano in modo particolare le opportunità di dialogo con i loro vicini ebrei”.
“La fiducia – ha detto ancora - è innegabilmente un elemento essenziale per un dialogo effettivo. Oggi ho l’opportunità di ripetere che la Chiesa Cattolica è irrevocabilmente impegnata sulla strada decisa dal Concilio Vaticano Secondo per una autentica e durevole riconciliazione fra Cristiani ed Ebrei”.
Il che, almeno a leggere la stampa israeliana, è ancora almeno in parte un cammino da compiere. I quotidiani danno grande spazio alla “storica” visita, evidenziano le parole del Papa, ma, oggi, sono sostanzialmente critici su quanto ha detto ieri allo Yad Vashem. Come cristiano e tedesco, afferma Haaretz, avrebbe dovuto parlare delle colpe dei nazisti e dell’antisemitismo cristiano. Lo stesso quotidiano afferma che “Nello scenario migliore, Benedetto partirà nell’indifferenza, non nell’ostilità”. Da parte sua, Yedioth Ahronoth, accanto a commenti dello stesso tipo, riporta la dichiarazione di Noah Frug, capo del Consortium of Holocaust Survivors' Organizations in Israel, che definisce “esagerate” le critiche. Il Papa “non è il presidente di un’organizzazione sionista”. “E’ venuto per avvicinare Chiesa e giudaismo e dobbiamo considerare la sua visita positiva e importante”.
Sulle polemiche è intervenuto oggi anche padre Federico Lombardi, direttore dela Sala stampa del Vaticano per smentire quanto affermato da ambienti ultranazionalisti ebraici: “Il Papa non e' mai stato nella Hitler-Jugend”, la gioventu' hitleriana, che era un "corpo di volontari fanatici". “Joseph Ratzinger, all'epoca studiava in seminario, e a 16 anni è stato arruolato di forza nel corpo ausiliario per la difesa delle città dai bombardamenti, come tutti i ragazzi della sua età”.
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