Papa: alla Fao, amore e solidarietà contro guerre e clima che spingono a migrare
In visita all’agenzia dell’Onu, Francesco ha parlato di come la sicurezza alimentare può incidere sulla mobilità umana. Per superare i conflitti “occorrono buona volontà, dialogo” e disarmo. “Riemerge la noncuranza verso i delicati equilibri degli ecosistemi, la presunzione di manipolare e controllare le limitate risorse del pianeta, l’avidità di profitto”. “‘Ho fame, sono forestiero, nudo, malato, rinchiuso in un campo profughi’. È una domanda di giustizia, non una supplica”.
Roma (AsiaNews) – “Introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia” per rispondere a guerre e cambiamenti climatici, le due cause principali della fame e, di conseguenza, delle migrazioni. Lo ha prospettato papa Francesco, in contrapposizione a una cultura dell’egoismo e dello sfruttamento, tanto presenti nei rapporti internazionali, nel discorso che ha fatto stamattina alla sede della FAO in Roma in occasione della celebrazione della Giornata mondiale dell’Alimentazione, quest’anno dedicata al tema: Cambiare il futuro della migrazione. Investire nella sicurezza alimentare e nello sviluppo rurale.
Accolto dal direttore generale della FAO, José Graziano da Silva, il Papa ha fatto dono di una scultura (nella foto) raffigurante Aylan, il piccolo profugo siriano annegato davanti alla spiaggia di Bodrum in Turchia nell’ottobre 2015.
Nella Sala Plenaria Francesco ha centrato il suo intervento soprattutto alla questione su come la sicurezza alimentare può incidere sulla mobilità umana. “La realtà odierna domanda una maggiore responsabilità a tutti i livelli non solo per garantire la produzione necessaria o l’equa distribuzione dei frutti della terra – questo dovrebbe essere scontato – ma soprattutto per tutelare il diritto di ogni essere umano a nutrirsi a misura dei propri bisogni, partecipando altresì alle decisioni che lo riguardano e alla realizzazione delle proprie aspirazioni, senza doversi separare dai propri cari. Di fronte a un obiettivo di tale portata è in gioco la credibilità dell’intero sistema internazionale. Sappiamo che la cooperazione è sempre più condizionata da impegni parziali, che addirittura limitano ormai anche gli aiuti nelle emergenze. Eppure la morte per fame o l’abbandono della propria terra è notizia quotidiana, che rischia di provocare indifferenza. E’ urgente dunque trovare nuove strade, per trasformare le possibilità di cui disponiamo in una garanzia che consenta ad ogni persona di guardare al futuro con fondata fiducia e non solo con qualche desiderio”.
La strada per evitare che persone che mancano dell’essenziale si vedano costrette a emigrare presenta, ha sostenuto Francesco, due ostacoli, evidenziati da studi condotti da Onu e altri organismi internazionali: i conflitti e i cambiamenti climatici.
Per superare i conflitti “occorrono buona volontà e dialogo” e “bisogna impegnarsi a fondo per un disarmo graduale e sistematico, previsto dalla Carta delle Nazioni Unite, come pure per porre rimedio alla funesta piaga del traffico delle armi. A che vale denunciare che a causa dei conflitti milioni di persone sono vittime della fame e della malnutrizione, se non ci si adopera efficacemente per la pace e il disarmo?”.
Alcuni si stanno allontanando dagli Accordi di Parigi
“Quanto ai cambiamenti climatici, ne vediamo tutti i giorni le conseguenze. Grazie alle conoscenze scientifiche, sappiamo come i problemi vanno affrontati; e la comunità internazionale è andata elaborando anche strumenti giuridici necessari, come per esempio l’Accordo di Parigi, dal quale, però, alcuni si stanno allontanando. Riemerge la noncuranza verso i delicati equilibri degli ecosistemi, la presunzione di manipolare e controllare le limitate risorse del pianeta, l’avidità di profitto. E’ pertanto necessario lo sforzo per un consenso concreto e fattivo se si vogliono evitare effetti più tragici, che continueranno a gravare sulle persone più povere e indifese. Siamo chiamati a proporre un cambiamento negli stili di vita, nell’uso delle risorse, nei criteri di produzione, fino ai consumi che, per quanto riguarda gli alimenti, vedono perdite e sprechi crescenti. Non possiamo rassegnarci a dire ‘ci penserà qualcun altro’”.
“Penso – ha detto ancora il Papa - che questi siano i presupposti di ogni discorso serio sulla sicurezza alimentare collegata al fenomeno delle migrazioni. Certamente guerre e cambiamenti climatici determinano la fame, evitiamo dunque di presentarla come una malattia incurabile”. E se stime recenti prevedono un rialzo della produzi0one di cereali, va evitato che le risorse alimentari vengano lasciate “in balìa della speculazione, che le misura solamente in funzione della prosperità economica dei grandi produttori o in relazione alla potenzialità di consumo e non alle esigenze reali delle persone. E così si favoriscono i conflitti e gli sprechi, e aumentano le file degli ultimi della terra che cercano un futuro fuori dai loro territori di origine”.
“Di fronte a tutto questo possiamo e dobbiamo cambiare rotta (cfr Enc. Laudato si’, 53; 61; 163; 202). Di fronte all’aumento della domanda di alimenti è indispensabile che i frutti della terra siano disponibili per tutti. Per qualcuno basterebbe diminuire il numero delle bocche da sfamare e risolvere così il problema; ma è una falsa soluzione se si pensa ai livelli di spreco di alimenti e a modelli di consumo che sprecano tante risorse. Ridurre è facile, condividere invece impone una conversione, e questo è impegnativo”.
“Pertanto mi pongo – e vi pongo – questa domanda: è troppo pensare di introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia? In effetti, queste parole esprimono il contenuto pratico del termine ‘umanitario’, tanto in uso nell’attività internazionale. Amare i fratelli e farlo per primi, senza attendere di essere corrisposto: è questo un principio evangelico che trova riscontro in tante culture e religioni e diventa principio di umanità nel linguaggio delle relazioni internazionali. E’ auspicabile che la diplomazia e le Istituzioni multilaterali alimentino e organizzino questa capacità di amare, perché è la via maestra che garantisce non solo la sicurezza alimentare, ma la sicurezza umana nella sua globalità. Non possiamo operare solo se lo fanno gli altri, né limitarci ad avere pietà, perché la pietà si ferma agli aiuti di emergenza, mentre l’amore ispira la giustizia ed è essenziale per realizzare un giusto ordine sociale tra realtà diverse che vogliono correre il rischio dell’incontro reciproco”.
I muri non fermano persone che la fame rende disposte a tutto
“L’impegno della diplomazia ci ha dimostrato, anche in eventi recenti, che fermare il ricorso alle armi di distruzione di massa è possibile. Tutti siamo consapevoli della capacità di distruzione di tali strumenti. Ma siamo altrettanto consapevoli degli effetti della povertà e dell’esclusione? Come fermare persone disposte a rischiare tutto, intere generazioni che possono scomparire perché mancano del pane quotidiano, o sono vittime di violenza o di mutamenti climatici? Si dirigono dove vedono una luce o percepiscono una speranza di vita. Non potranno essere fermate da barriere fisiche, economiche, legislative, ideologiche: solo una coerente applicazione del principio di umanità potrà farlo. E invece diminuisce l’aiuto pubblico allo sviluppo e le Istituzioni multilaterali vengono limitate nella loro attività, mentre si ricorre ad accordi bilaterali che subordinano la cooperazione al rispetto di agende e di alleanze particolari o, più semplicemente, ad una tranquillità momentanea. Al contrario, la gestione della mobilità umana richiede un’azione intergovernativa coordinata e sistematica, condotta secondo le norme internazionali esistenti e permeata da amore e intelligenza. Il suo obiettivo è un incontro di popoli che arricchisca tutti e generi unione e dialogo, e non esclusione e vulnerabilità”.
In proposito Francesco ha auspicato che nella elaborazione del Pacto mundial para una migración segura, regular y ordenada, in corso in questo momento in seno alle Nazioni Unite si tenga conto che “vulnerabile è colui che è in condizione di inferiorità e non può difendersi, non ha mezzi, vive cioè una esclusione. E questo perché è costretto dalla violenza, da situazioni naturali o peggio ancora dall’indifferenza, dall’intolleranza e persino dall’odio”.
“Prestiamo ascolto al grido di tanti nostri fratelli emarginati ed esclusi: ‘Ho fame, sono forestiero, nudo, malato, rinchiuso in un campo profughi’. È una domanda di giustizia, non una supplica o un appello di emergenza. È necessario un ampio e sincero dialogo a tutti i livelli perché emergano le soluzioni migliori e maturi una nuova relazione tra i diversi attori dello scenario internazionale, fatta di responsabilità reciproca, di solidarietà e di comunione. Il giogo della miseria generato dagli spostamenti spesso tragici dei migranti, può essere rimosso mediante una prevenzione fatta di progetti di sviluppo che creino lavoro e capacità di riposta alle crisi climatiche e ambientali. La prevenzione costa molto meno degli effetti provocati dal degrado dei terreni o dall’inquinamento delle acque, effetti che colpiscono le zone nevralgiche del pianeta dove la povertà è la sola legge, le malattie sono in crescita e la speranza di vita diminuisce”.
“Sono tante e lodevoli le iniziative messe in atto. Tuttavia, non bastano; è necessario e urgente continuare ad attivare sforzi e finanziare programmi per fronteggiare in maniera ancora più efficace e promettente la fame e la miseria strutturale. Ma se l’obiettivo è favorire un’agricoltura che produca in funzione delle effettive esigenze di un Paese, allora non è lecito sottrarre le terre coltivabili alla popolazione, lasciando che il land grabbing (acaparamiento de tierras) continui a fare i suoi profitti, magari con la complicità di chi è chiamato a fare l’interesse del popolo. Occorre allontanare le tentazioni di operare a vantaggio di gruppi ristretti della popolazione, come pure di utilizzare gli apporti esterni in modo inadeguato, favorendo la corruzione, o in assenza di legalità”.