Papa: Giovanni Paolo II, guida nella fede, profeta di speranza, testimone appassionato
Città del Vaticano (AsiaNews) – Un amore per Cristo “senza riserve e senza risparmio”, “traboccato in ogni regione del mondo”, uno “spendersi generoso senza riserve”, una “dimensione di universalità”: Benedetto XVI ha usato concetti legati alla grandezza e all’abbondanza, oggi pomeriggio, per parlare di Giovanni Paolo II nel secondo anniversario della morte.
Nel giorno nel quale la causa di beatificazione supera, in tempi rapidissimi, la prima fase, quella diocesana, del suo cammino, in piazza San Pietro è tornato il popolo del “santo subito”: almeno 30mila persone, in un pomeriggio di un giorno feriale, che, con gli applausi scattati all’udire il suo nome, hanno anche costretto Benedetto XVI a riprendere la sua omelia.
Ricorda la folla silenziosa, commossa ed in preghiera di quella luminosa sera, nella quale, ricorda oggi Benedetto XVI, la “dimensione di universalità”, data da Dio a papa Wojtyla “ha raggiunto la massima espansione”. Una morte che “il mondo intero ha vissuto con una partecipazione mai vista nella storia”.
Con loro Benedetto XVI ricorda i “ben 27 anni” nei quali Giovanni Paolo II è stato “padre e guida sicura nella fede, zelante pastore e coraggioso profeta di speranza, testimone infaticabile e appassionato servitore dell’amore di Dio”.
Attorno all’altare sul sagrato della Basilica Vaticana, oggi ci sono una quarantina di cardinali, c’è il presidente polacco Lech Kaczynski, diplomatici e uomini politici. C’è suor Marie Simon-Pierre, la religiosa francese di 46 anni, la cui guarigione dal morbo del Parkinson è il “miracolo”, attribuito all'intercessione di Karol Wojtyla. E c’è anche la “famiglia”: le suore polacche, il cameriere Angelo Gugel, l’allora comandante della Vigilanza pontificia, il fidatissimo Camillo Cibin, che gli fu accanto in tutti i viaggi e le visite, a Roma, in Italia e nel mondo. E naturalmente Stanislaw Dziwisz, oggi cardinale di Cracovia, per 40 anni segretario personale di Wojtyla, che stamattina ha celebrato messa nelle Grotte vaticane e dopo il rito di questa sera tornerà accanto alla tomba di Giovanni Paolo II per recitare il Rosario insieme con 100 giovani italiani.
Dall’altare, anche papa Ratzinger, che per 23 anni collaborò con Giovanni Paolo II, ha più di un accenno personale nell’omelia che prende spunto dall’episodio evangelico dell’unzione di Gesù da parte di Maria di Betania. “Per noi, riuniti in preghiera nel ricordo del mio venerato Predecessore – commenta - il gesto dell’unzione di Maria di Betania è ricco di echi e di suggestioni spirituali. Evoca la luminosa testimonianza che Giovanni Paolo II ha offerto di un amore per Cristo senza riserve e senza risparmio. Il ‘profumo’ del suo amore ‘ha riempito tutta la casa’ (Gv 12,3), cioè tutta la Chiesa. Certo, ne abbiamo approfittato noi che gli siamo stati vicini, e di questo ringraziamo Iddio, ma ne hanno potuto godere anche quanti l’hanno conosciuto da lontano, perché l’amore di Papa Wojtyla per Cristo è traboccato, potremmo dire, in ogni regione del mondo, tanto era forte ed intenso. La stima, il rispetto e l’affetto che credenti e non credenti gli hanno espresso alla sua morte non ne sono forse una eloquente testimonianza?”.
“E’ proprio vero – aggiunge - l’intenso e fruttuoso ministero pastorale, e ancor più il calvario dell’agonia e la serena morte dell’amato nostro Papa, hanno fatto conoscere agli uomini del nostro tempo che Gesù Cristo era veramente il suo ‘tutto’. La fecondità di questa testimonianza, noi lo sappiamo, dipende dalla Croce. Nella vita di Karol Wojtyla la parola ‘croce’ non è stata solo una parola. Fin dall’infanzia e dalla giovinezza egli conobbe il dolore e la morte. Come sacerdote e come Vescovo, e soprattutto da Sommo Pontefice, prese molto sul serio quell’ultima chiamata di Cristo risorto a Simon Pietro, sulla riva del lago di Galilea: “Seguimi … Tu seguimi” (v 21,19.22). Specialmente con il lento, ma implacabile progredire della malattia, che a poco a poco lo ha spogliato di tutto, la sua esistenza si è fatta interamente un’offerta a Cristo, annuncio vivente della sua passione, nella speranza colma di fede della risurrezione”.
“Il suo pontificato – dice ancora - si è svolto nel segno della ‘prodigalità’, dello spendersi generoso senza riserve. Che cosa lo muoveva se non l’amore mistico per Cristo, per Colui che, il 16 ottobre 1978, lo aveva fatto chiamare, con le parole del cerimoniale: ‘Magister adest et vocat te – Il Maestro è qui e ti chiama’? Il 2 aprile 2005, il Maestro tornò, questa volta senza intermediari, a chiamarlo per portarlo a casa, alla casa del Padre. Ed egli, ancora una volta, rispose prontamente col suo cuore intrepido, e sussurrò: ‘Lasciatemi andare dal Signore’ (cfr S. Dziwisz, Una vita con Karol, p. 223). Da lungo tempo egli si preparava a quest’ultimo incontro con Gesù, come documentano le diverse stesure del suo Testamento. Durante le lunghe soste nella Cappella privata parlava con Lui, abbandonandosi totalmente alla sua volontà, e si affidava a Maria, ripetendo il Totus tuus”.
“‘Servo di Dio’: questo egli è stato e così lo chiamiamo ora nella Chiesa, mentre speditamente progredisce il suo processo di beatificazione, di cui è stata chiusa proprio questa mattina l’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità. ‘Servo di Dio’: un titolo particolarmente appropriato per lui. Il Signore lo ha chiamato al suo servizio nella strada del sacerdozio e gli ha aperto via via orizzonti sempre più ampi: dalla sua Diocesi fino alla Chiesa universale. Questa dimensione di universalità ha raggiunto la massima espansione nel momento della sua morte, avvenimento che il mondo intero ha vissuto con una partecipazione mai vista nella storia”.
Due anni fa, celebrando i funerali di Giovanni Paolo II, l’allora card.Ratzinger si era detto certo che dalla casa del Padre stesse guardando su Piazza San Pietro, oggi ha affermato che “dalla casa del Padre - ne siamo certi - non cessa di accompagnare il cammino della Chiesa”. (FP)
02/04/2006