Papa: Gerusalemme divenga città della pace, aperta a tutti
Benedetto XVI celebra la prima messa pubblica in Israele, nella Valle di Josafat, sotto al Monte degli ulivi. I credenti nell’unico Dio dovrebbero promuovere la cultura dell’accoglienza e della riconciliazione. I cristiani di Terra Santa, che hanno sofferto per tanti motivi consservino la speranza che viene dal Vangelo.
Gerusalemme (AsiaNews) – A Gerusalemme “non dovrebbe esservi posto” per “la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia” e “i credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi Ebrei, Cristiani o Musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati”. E’ l’appello che Benedetto XVI ha rivolto oggi pomeriggio a quanti vivono in Terra Santa dalla Valle di Josafat, che si apre davanti alla basilica del Getsemani e al Monte degli ulivi, dove ha celebrato la prima messa pubblica del suo viaggio in Israele.
Un appello che sembrano voler raccogliere le bandiere di Israele e della Palestina, portate da alcuni dei circa seimila fedeli che partecipano al rito. Bandiere finalmente sventolate una accanto e non contro l’altra, in questa valle ove, secondo la tradizione ebraica si raduneranno le genti nel giorno del Giudizio.
“Qui sotto il monte degli Ulivi, dove nostro Signore pregò e soffrì, dove pianse per amore di questa città e per il desiderio che essa potesse conoscere ‘la via della pace’ (cfr Lc 19,42)”, il Papa si rivolge ai cristiani di Terra Santa. “Trovandomi qui davanti a voi oggi - dice - desidero riconoscere le difficoltà, la frustrazione, la pena e la sofferenza che tanti tra voi hanno subito in conseguenza dei conflitti che hanno afflitto queste terre, ed anche le amare esperienze dello spostamento che molte delle vostre famiglie hanno conosciuto e – Dio non lo permetta – possono ancora conoscere. Spero che la mia presenza qui sia un segno che voi non siete dimenticati, che la vostra perseverante presenza e testimonianza sono di fatto preziose agli occhi di Dio e sono una componente del futuro di queste terre. Proprio a causa delle vostre profonde radici in questi luoghi, la vostra antica e forte cultura cristiana, e la vostra perdurante fiducia nelle promesse di Dio, voi Cristiani della Terra Santa, siete chiamati a servire non solo come un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata, e continua ad essere, pluralistica, multietnica e multireligiosa”.
La risposta ai dolori, alle mancanze viene indicata da Benedetto XVI con le parole della lettera ai Colossesi: “cercare le cose di lassù”. “Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia. Purtroppo, sotto le mura di questa stessa Città, noi siamo anche portati a considerare quanto lontano sia il nostro mondo dal compimento di quella profezia e promessa. In questa Santa Città dove la vita ha sconfitto la morte, dove lo Spirito è stato infuso come primo frutto della nuova creazione, la speranza continua a combattere la disperazione, la frustrazione e il cinismo, mentre la pace, che è dono e chiamata di Dio, continua ad essere minacciata dall’egoismo, dal conflitto, dalla divisione e dal peso delle passate offese. Per questa ragione, la comunità cristiana in questa Città che ha visto la risurrezione di Cristo e l’effusione dello Spirito deve fare tutto il possibile per conservare la speranza donata dal Vangelo, tenendo in gran conto il pegno della vittoria definitiva di Cristo sul peccato e sulla morte, testimoniando la forza del perdono e manifestando la natura più profonda della Chiesa quale segno e sacramento di una umanità riconciliata, rinnovata e resa una in Cristo, il nuovo Adamo”.
“Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo. Ebrei, Musulmani e Cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale. Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una ‘città della pace’ per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, ‘una voce che parla di pace’ ( cf. Sl 85,8)!”
A quanti, vivendo qui, hanno “l’opportunità di "toccare" le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio”, “la mia preghiera oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a ‘vedere e credere’ nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad ‘ascoltare’ con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a ‘toccare’ le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane”. (FP)
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